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TECNOLOGIA
30 Settembre 2025 - 21:30
Dal 3 novembre milioni di utenti di LinkedIn scopriranno che i propri dati sono diventati la nuova benzina per i motori dell’intelligenza artificiale. Il social network professionale, che conta centinaia di milioni di iscritti in tutto il mondo, inizierà infatti a utilizzare in automatico informazioni e contenuti condivisi dagli utenti per addestrare i suoi modelli di IA. Un passaggio epocale, comunicato dalla stessa società, che riguarda Europa, Svizzera, Canada e Hong Kong.
Chi non vuole far parte di questo esperimento dovrà dirlo chiaramente. Perché l’opzione è già attiva di default, senza bisogno di alcuna conferma. Sta all’utente, quindi, andare a cercare nelle impostazioni del profilo, entrare nella sezione “Privacy dei dati” e togliere la spunta a “Dati per migliorare l’IA generativa”. Solo così potrà impedire che il proprio curriculum online, le esperienze lavorative pubblicate o i post condivisi diventino materiale per alimentare gli algoritmi della piattaforma.
LinkedIn lo spiega con parole semplici: i dati servono a costruire modelli capaci di generare contenuti, ottimizzare l’esperienza d’uso e spingere gli iscritti verso nuove opportunità professionali. Aggiunge che i messaggi privati non saranno toccati e resteranno fuori dal raggio d’azione dell’intelligenza artificiale. Ma resta il fatto che tutto ciò che è pubblico potrà finire nei sistemi di analisi e diventare materia prima per le macchine.
Il meccanismo non è nuovo. Negli ultimi mesi anche altre grandi piattaforme hanno scelto la stessa strada, trasformando le parole e le immagini degli utenti in dati da far digerire ai propri modelli di IA. Ogni volta, però, il tema della privacy riemerge con forza. Perché non si tratta solo di tecnologia: c’è un equilibrio delicato tra l’innovazione che promette di semplificare la vita e il diritto delle persone a mantenere il controllo sulle proprie informazioni.
Il legame con Microsoft pesa non poco. Il colosso americano, che controlla LinkedIn, ha investito cifre enormi in OpenAI, la società che ha creato ChatGPT. E come ogni chatbot, anche questo ha bisogno di nutrirsi di testi, dati e contenuti per continuare a crescere. Non è un caso, dunque, che proprio ora LinkedIn decida di mettere a disposizione il suo patrimonio di informazioni.
Dal 3 novembre chi entra su LinkedIn non si troverà davanti alcun avviso lampeggiante né una richiesta di consenso esplicita. Tutto accadrà in silenzio, a meno che l’utente non decida di cambiare le impostazioni. E sarà proprio questo dettaglio a fare la differenza: tra chi lascia che il proprio profilo diventi carburante per l’IA e chi invece sceglie di restare fuori.
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