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La storia
20 Novembre 2025 - 05:20
Nella New York degli anni ’50 c’era una cosa che nessuno metteva in discussione: se un dottore ti consigliava di fumare, tu fumavi. Camice bianco, stetoscopio e sigaretta accesa come fosse un atto medico. “Fuma una fresca sigaretta”: lo diceva la radio, lo gridavano i cartelloni, lo benediceva la TV. Oggi certe pubblicità ci sembrano folli. Ma la verità è che non è cambiato l’obiettivo, è cambiata la religione. Ieri comandavano le agenzie. Oggi comanda l'algoritmo.
I social hanno ribaltato ogni gerarchia. Una realtà parallela dove la vita vera e la fantasia non sono più confini ma ingredienti. Negli ultimi anni, le campagne pubblicitarie hanno iniziato a migrare dai canali tradizionali verso questo spazio fluido, rumoroso, imprevedibile. Gli attori hollywoodiani, le supermodelle e gli atleti restano i nomi pesanti, certo. Ma oggi nel grande teatro della cultura pop si stanno insinuando nuove figure: ibride, sfuggenti, impossibili da spiegare senza questo ecosistema digitale. E l’imperativo — ieri come oggi — resta lo stesso: convincere.
Tra chi lo ha compreso meglio c’è Sergio Tacchini. Nel pieno del suo rebranding, il marchio ha scelto la strada più affascinante e più contemporanea: non affidarsi a un volto, ma a una storia. O meglio, a un personaggio che sembra uscito da un film, ma che esiste davvero. Fabrizio Brienza.

Se il nome non vi dice nulla, è solo questione di tempo. Classe 1969, molisano d’origine, laureato in graphic design a Firenze, una parentesi milanese e poi la fuga negli Stati Uniti. Brienza non è il classico modello da campagna patinata. È qualcosa di più complesso: la dimostrazione vivente che identità social e vita reale oggi possono diventare un’unica cosa.
Moda, vita sregolata e recitazione si fondono in lui con naturalezza, senza sembrare mai costruite. Ha posato per Armani, Dolce & Gabbana, Versace e Ferré. Ha fatto anche l'attore recitando in alcuni film. Anche se, a quanto pare, oggi la sua vita è un’altra: buttafuori nel nightclub più chiacchierato di Manhattan, il Paul’s Casablanca. E molto prima che Tacchini se ne accorgesse, quell’ingresso era diventato il suo palcoscenico. Fisico da duro, faccia d’angelo, accento italo-americano che ricorda da vicino Quei bravi ragazzi: Brienza non interpreta un ruolo, lo abita. Nei video cammina per la città come se ogni strada fosse un set cinematografico, sparando frasi che sui social hanno fatto milioni di visualizzazioni.
“Quando dicono che non puoi, fallo due volte e scatta delle foto.”
“A volte l’erba del vicino è più verde perché è finta.”
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Prima è diventato un format. Poi un’estetica. Infine un immaginario completo: quello che richiama i film di Scorsese, il mito dell’italoamericano self-made che parla di lavoro vero e fatica quotidiana. La campagna di Tacchini è un trionfo di italianità diretta con ironia chirurgica: l’espresso con sigaretta, la tuta alla Paulie dei Soprano, la Grande Mela affrontata con la sicurezza di chi la conosce meglio delle proprie tasche. “Ogni giorno è una battaglia. Cadi 7 volte, alzati 8. Se ti fermi sei morto, soprattutto in questa giungla.” Oggi non serve un volto. Serve una storia in cui riconoscersi. Perché, in un mondo dove tutto sembra finto, l’unica cosa che vale è la credibilità
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E Brienza è perfetto perché è l’esempio puro di ciò che i social sanno creare: figure che sembrano più reali del reale, personaggi che diventano ispirazione, specchio, a volte perfino guida. Tutto attraverso uno schermo che, giorno dopo giorno, smette di essere filtro e diventa realtà. E in un momento in cui i brand di lusso arrancano nella ricerca disperata di autenticità e identità, questa scelta è pura avanguardia.
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