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CARCERI
25 Settembre 2024 - 21:00
Aglio: 200 grammi, 1,54 euro. Lamette, pacco da 5: 14,88 euro. Riso Arborio, un chilo per 4,59 euro. Pecorino? 200 grammi oltre i 4 euro. No, non è il volantino di un supermercato gourmet, ma il listino prezzi interno del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, dove i detenuti possono fare la spesa, a patto di poterla pagare. E pagare caro. Molti dei prodotti disponibili all'interno dell'istituto costano decisamente di più rispetto ai prezzi fuori. “Per chi non ha soldi, il carcere mette a disposizione i prodotti essenziali”, racconta un’ex detenuta. "Ma gli assorbenti che ti danno, per esempio, sono ruvidi... Quando non avevo nulla, erano comunque meglio di niente". Altri articoli, come tabacchi e giornali, non subiscono variazioni di prezzo rispetto al mondo dei liberi.
Certo, i gamberoni o la platessa (800 grammi per circa 12 euro) magari non si mangiano tutti i giorni. Chi non ha mezzi, però, deve affidarsi al vitto fornito dal carcere. Un vitto che lascia spesso a desiderare, nonostante l’impegno dei cuochi: “Non si tratta di essere schizzinosi”, racconta un detenuto. “Ma quello che ci arriva nei carrelli, a volte, è davvero pessimo.” Ma quanto spendiamo noi, cittadini, per le carceri italiane? Oltre 8 milioni di euro al dì. Ogni detenuto costa allo Stato circa 137 euro al giorno.
Tuttavia, la prigione non è un soggiorno gratuito nemmeno per chi la sconta: i detenuti, infatti, sono tenuti a contribuire al proprio mantenimento. Pochi lo sanno, ma la legge italiana impone ai condannati una "quota di mantenimento" che copre una parte delle spese per acqua, elettricità, vitto, mobili e biancheria. Insomma, essere detenuti si paga. Questo obbligo, sancito dal codice penale, vincola i detenuti a rimborsare lo Stato con i propri beni presenti e futuri. L’unico sollievo? Gli eredi non ereditano questa obbligazione. La legge stabilisce inoltre che la quota a carico dei detenuti non superi i due terzi del costo effettivo della loro permanenza in carcere.
Un bel conto da pagare, comunque. Nel frattempo, tra le mura del Lorusso e Cutugno, il malcontento cresce. Il 5 settembre è iniziato uno sciopero della fame da parte delle detenute del braccio femminile, una protesta pacifica di cui pochi parlano. “Se non ci sono rivolte, nessuno si interessa di quello che succede nelle carceri”, spiega una delle Mamme in Piazza, un gruppo di donne che ha portato la solidarietà fuori dal carcere torinese. Oggi le mamme erano davanti al Lascaris: hanno consegnato a tutti i consiglieri regionali la lettera inviata dalle detenute alle istituzioni. "Non c'è più tempo" scrivevano le "ragazze delle Vallette".
E così, tra proteste silenziose, prezzi gonfiati e una vita già dura resa ancora più difficile, il carcere di Torino resta una realtà nascosta. Una realtà fatta di costi, non solo economici, che continua a passare sotto silenzio.
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