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I grandi gialli del Piemonte

Azzardo
Pare che il gioco d’azzardo fosse una piaga dilagante. Prendiamo Giacomo Antonio Fassetto, nativo di Lanzo, d’età compresa tra 18 e 20 anni. Il 31 gennaio era stato incarcerato per aver comprato da tal Manza una tabacchiera chiaramente frutto di un furto. Era uscito di prigione il 18 marzo 1749 con promessa «di vivere da giovine dabbene». Ecco, il nostro fu sorpreso dalla gendarmeria sabauda mentre, in piazza Castello, giocava d’azzardo al gioco cosiddetto del «Passa e Manca». Non possiamo sapere che gioco fosse, ma di certo il Fassetto non doveva aver prestato fede al giuramento di vivere «da giovine dabbene».

Al gioco egli sottrasse a Nicola Bertone cinquanta lire circa in zecchini, in scudi di Francia e in altra moneta; inoltre, gli «fu trovata addosso al tempo del suo arresto» una posata, una tabacchiera d’argento «che non convengono al suo stato e delle quali s’arguisce che volesse far vendita con inganno». Personaggio pericoloso, il Fassetto: gli viene trovato addosso anche un coltello, in palese contravvenzione alle regole che impedivano il porto d’armi. Nonostante ciò, il nostro fu rilasciato, con la sola restituzione degli oggetti ritrovati.

Recidivo anche Tomaso Baratta, di Asti: già arrestato per aver organizzato il gioco del Lotto, detto anche del Seminario, in quel di Milano, venne nuovamente a trovarsi nelle carceri senatorie. Che faceva, di tanto pericoloso? Organizzava le scommesse all’osteria dei Tre Carlini, in via Po, davanti al Regio Spedale di Carità (palazzo degli Stemmi).

Cambiamo secolo, e spostiamoci nell’Ottocento. Giovanni Battista Martina e Giuseppe Armando, entrambi di Torino, finirono davanti ai giudici nel 1834 per aver indotto tal Giuseppe Gerbo a scommettere alle carte nell’osteria del Gambero, rubandogli così 26 lire. I due complici erano persone «dedite ai vizi», e in particolar modo il Martina, «tenuto capace di qualunque cattiva azione». Erano già stati detenuti e processati. Insomma, due poco di buono. Per loro la nuova condanna fu di un anno di carcere (il Martina) e di un anno di catena (l’Armando).
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