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Spacciano droga e medicine in cella usando anche un drone come postino

carcere torino
Droga, medicinali a base di oppio, cellulari, carica batterie, schede sim. Tutti oggetti appesi a un drone. In carcere, esattamente come “fuori”, si spaccia. O perlomeno, capita che accada. La “banda” che riforniva il Lorusso e Cutugno usando l’aeromobile aveva escogitato i metodi più vari per portare all’interno dell’istituto penitenziario hashish, pasticche, antidolorifici (usati per sballarsi) e telefoni pronti all’uso, così tanto ricercati dai detenuti per comunicare (ovviamente di nascosto, perché è un reato) con l’esterno.

Tre sere fa, gli agenti del nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria di Torino, coordinati dai pm Eugenia Ghi e Valerio Longi, hanno arrestato il terzo esponente (si sospetta che avrebbe un ruolo rilevante) di un gruppo di detenuti tunisini che gestiva lo spaccio all’in - terno della prigione. È finito in manette, su ordine del gip Edmondo Pio, Habib Trabelsi, tunisino di 53 anni difeso dall’avvocato Pietro Massaro. Insieme al nipote Islam (detenuto a Torino), e al coetaneo e connazionale Mourab Inoubli (ristretto a Padova), l’uomo, che ha precedenti, avrebbe approfittato della libertà ottenuta dopo l’ultima condanna per “gestire” i due complici ancora detenuti, aiutandoli a vendere dentro alle celle sostanze stupefacenti e altri oggetti.

Il sistema era semplice: quando i due complici uscivano dal Lorusso e Cutugno godendo di permessi premio, lui li avrebbe aiutati a rifornirsi del necessario da portare in galera, al rientro dai permessi. La tecnica tradizionale - come emerso dalle testimonianze degli indagati - era quella di nascondere nel proprio corpo le dosi da distribuire ai carcerati, sperando che durante i controlli all’ingresso del Lorusso e Cutugno nessuno se ne accorgesse. Il metodo più avveniristico era quello del drone. Ed è stato proprio quando il gruppo ha deciso di tentare il «salto di qualità» tecnologico, elevando in volo l’attrezzo, che l’inchiesta ha preso una svolta.

Gli agenti della penitenziaria da tempo stavano seguendo e pedinando gli indagati. Uno di loro era già stato sorpreso infatti, mesi fa, al rientro da un permesso, con hashish nel corpo, durante i controlli di rito all’ingresso dell’istituto penitenziario. Per questo il detenuto era finito in isolamento per cinque giorni. E aveva ammesso: «La droga che porto è da vendere ai detenuti». Lo scorso 14 marzo gli agenti, che non hanno mai smesso di seguire i sospettati quando uscivano per i numerosi permessi premio che ottenevano dal magistrato di sorveglianza grazie alla loro apparente buona condotta in prigione, avevano sorpreso due detenuti in permesso con un drone, a 500 metri dal carcere. Stavano cercando di farlo volare oltre il muro di cinta. Il drone aveva un sacchetto appeso che penzolava, con dentro 100 grammi di hashish, pasticche di Subutex, un oppioide, farmaci vari e un cellulare.

Sui due detenuti, Islam Trabelsi e Mourad Inoubli si era accanita la sfortuna: dopo vari volteggi il drone era precipitato senza riuscire a superare le mura del carcere. E per loro due erano scattate le manette. Poi, l’inchiesta era continuata. Perché c’erano indizi che facevano pensare agli investigatori che all’appello mancasse un personaggio chiave (per i pm), Habib Travelsi. Tre sere fa gli agenti lo hanno arrestato a Porta Palazzo, notificandogli l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Pio. L’uomo è stato visto incontrare i complici in permesso premio e scambiare, con loro e altre persone, pacchi misteriosi. Anche nei giardinetti davanti al Palagiustizia, luogo di smistamento della droga. «Volevo portare il fumo in carcere - aveva confessato uno dei primi arrestati - in occasione di un permesso ho dato 270 euro a Trabelsi per comprare il drone. Li ho dati a lui e suo zio».
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