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C’era una volta l’Avvocato

GianniAgnelli
A vent’anni dalla sua scomparsa, Cronacaqui dedica oggi uno speciale dedicato a Gianni Agnelli. Si ripercorre tutta la vita dell’Avvocato, partendo ovviamente dal suo grande amore, la Fiat, passando alle sue passioni per il mondo dell’arte e dello sport. Ci sono anche i ricordi del sindaco Stefano Lo Russo e del governatore Alberto Cirio.

«Non dimenticare mai che sei un Agnelli», gli dissero da bambino. E lui lo ricordò sempre e non tradì mai questa regola. Come si conviene ad un erede al trono Gianni Agnelli era nato per essere un condottiero e a ricordarne le gesta da adolescente, da playboy, da imprenditore e da senatore a vita si capisce che ha interpretato la propria esistenza come una continua sfida. Fino alla fine, quando ha perso l’ultima, quella con la malattia. Esattamente 20 anni fa, il 24 gennaio del 2003, quando la notizia della sua morte ci ha fatto capire che eravamo un p o’ tutti orfani suoi.

A cominciare dalle fabbriche della Fiat, dagli operai e dagli impiegati ma anche dal mondo della finanza e dell’editoria per arrivare al calcio e all’arte, le altre sue grandi passioni. Già perché l’Avvocato come lo chiamavano tutti in Italia e all’estero pur non avendo mai esercitato la professione forense, è sempre stato un grande protagonista, a tratti un padrone per chi lo contestava da dentro la fabbrica o davanti ai cancelli, ma un padrone illuminato che ha sognato e realizzato una grande azienda portandola al di fuori dai confini piemontesi del professor Valletta, proiettandola nel mondo.

Uno che non faceva sconti, che sapeva far pagare prezzo ai governi che si sono succeduti, senza badare a colori e correnti per costruire le fabbriche e per ristrutturarle, visto che a far di conto pare siano stati 200 i miliardi che sono arrivati fino all’ultimo piano di corso Marconi prima e al Lingotto poi. Come dire che Gianni Agnelli è stato il simbolo del lavoro e, per intere generazioni di sicurezza economica per figli e famiglie. Erano i tempi in cui lavorare in Fiat voleva anche dire mandare i più piccoli in colonia e gli anziani in ferie. Esempi che oggi si sono sbiaditi con il tempo, calpestati dalla velocità del mondo che cambia e soprattutto dalla filosofia impersonale delle multinazionali, Fiat compresa (oggi Stellantis) che dopo essere volata via dall’Italia per motivi fiscali, ora rischia un parziale oblio, almeno per quanto riguarda Torino e le sue fabbriche diventate succursali di un impero che non si coniuga più con il motto “Fabbrica Italiana Automobili Torino”.

Tanto da farci riflettere, ancora oggi, vent’anni dopo la scomparsa dell’Avvocato, sul futuro dell’industria automobilistica a Torino dove si sta giocando la carta dell’elettrico ma i posti in fabbrica sono sempre meno. Con i francesi di Peugeot che la fanno da padroni e il grande indotto dei fornitori che tribola tra contratti al ribasso e cassa integrazione. E così, ancora ieri parlando con uno di essi, ho colto un tratto di nostalgia quando costui mi ha confessato che “Servirebbe ancora l’ardire e la lungimiranza dell’Avvocato”. Il segno che Agnelli è rimasto nella memoria, e anche nel cuore di tanti. Proprio lui che in vita ha sempre aborrito le strategie e i programmi a lunga scadenza. Con quell’ardire che è proprio di chi è vissuto sempre con la convinzione che la vita è appesa ad un filo.

Alla pallottola che lo sfiora e uccide il suo compagno sul carrarmato nella guerra d’Africa dove diede prova di eroismo, a quel centimetro in più o in meno che ha fatto la differenza nell’incidente stradale che nel ‘52 a Viareggio gli ha lasciato una gamba incerta, ai bypass cardiaci che non hanno frenato comunque il suo amore per il lavoro, né interrotto quelle lunghe telefonate all’alba con cui svegliava i suoi collaboratori più fidati. E neppure cancellato una regata o una discesa con gli sci. Così è stato fino all’ultimo quando la malattia lo ha aggredito e costretto a frequenti viaggi a New York per le terapie anti-cancro. Solo allora ci era apparso provato, con i capelli più corti e il viso ancora più segnato. Ma sempre elegantissimo, signorile nell’incedere, misurato nei gesti e attento alle parole, come si confà ad un sovrano.
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