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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA

Jouvin: «Tik Tok? Con il teatro riscopriamo le nostre emozioni più profonde»

Il Sovrintendente del Regio paragona Torino a Vienna

Mathieu Jouvin

Mathieu Jouvin

Visto dal cielo, il Teatro Regio di Torino ricorda i fianchi sinuosi di una donna. La sala poi è pensata per evocare la forma del ventre, che genera vita, arte e bellezza. «È un luogo ricco di simbolismo, guardate le finestre ovali delle porte...» ci indica il Sovrintendente del Teatro Regio di Torino, Mathieu Jouvin, nella veste di guida discreta di casa propria. «Nulla è stato scelto a caso, anche il viola del soffitto è un invito alla concentrazione verso ciò che succede in scena» spiega.


Sovrintendente, ma nell’epoca di Tik Tok, dei social e dei video lampo, è ancora possibile godere del ritmo lento e meditativo dell’opera lirica?
«La invito a venire a vedere una delle nostre anteprime dedicate ai giovani e ad ascoltare il silenzio rispettoso della sala che si gode lo spettacolo. Io credo che la risposta sia lì. È una cosa straordinaria. La generazione che - secondo gli studi - non ha più la capacità di concentrarsi ammutolisce di fronte alla completezza dell’opera».
Cosa intende per completezza?
«Nell’ascolto arriva immediatamente l’emozione della musica, ma poi c’è la bellezza della vista e il testo che aiuta a sostenere l’attenzione anche se lo spettacolo è lungo. Si è stimolati in ogni senso».
Possiamo dire che sia quasi una “cura” contro la mancanza di concentrazione?
«Se serve anche a questo tanto meglio, ma soprattutto permette di capire che le emozioni complesse si sviluppano con il tempo».
Cinquant’anni. Come sta il nostro Regio?
«Bene, è ancora giovane e molto attivo. Abbiamo visite guidate quasi ogni giorno e anche le produzioni stanno andando bene. Cinquant’anni non sono poi molti in fin dei conti. È un bel momento per il teatro, dopo il periodo difficile della pandemia».
Non soffre della cosiddetta “crisi di mezza età”?
«No, credo che la vera crisi ci sia già stata. Ora è il tempo della saggezza e c’è una bella prospettiva per i prossimi anni».

Parliamo di lei. È un buon momento? È stato nominato quasi un anno fa ormai…
«All’inizio è stato impegnativo, non parlavo molto bene l’italiano. Ora sono più tranquillo. Non parlo ancora benissimo la lingua, ma va meglio e capisco di più il modo di pensare delle persone. Chi arriva in un paese diverso dal proprio deve portare la sua esperienza, ma soprattutto è necessario che rispetti ciò che trova».
E di Torino cosa pensa?
«La paragono sempre a Vienna, più che a Parigi. Le due città sono vicine per l’architettura, il passato reale e l’importanza che attribuiscono alla cultura. E poi a Torino ci sono dei Caffè bellissimi. Sono luoghi fantastici di incontro. Anche in Francia abbiamo questo tipo di tradizione. Ma qui il caffè è migliore (ride
Della città della Mole si dice spesso che abbia un grande potenziale inespresso. È d’accordo? È una definizione che vale anche per l’opera lirica?
«Credo proprio di sì. Si capisce subito che il Regio è un luogo importante per la città, ma è nascosto. Chi è sulla piazza non lo vede subito. E questo è tipico di Torino che ha tanti gioielli, cortili e angoli da scoprire».
C’è qualcosa che invece proprio non sopporta di questa nuova vita torinese?
«Lavoro troppo, forse (ride)».
Com’è una sua giornata tipo?
«Arrivo qui verso le 9 del mattino. Ed esco verso le 20… A volte a mezzanotte».
Si è trasferito stabilmente in città?
«Sì, non credo che un Sovrintendente possa vivere lontano dal teatro che amministra. Si deve essere al 100% disponibili. La squadra è qui. Nel teatro si lavora dalla mattina alla sera. È un progetto umano e chi dirige deve esserci e respirarne gli umori».

Al Regio ha trovato la situazione che si aspettava? Cosa avrebbe cambiamo immediatamente?
«Non sono così radicale. La Francia è il paese della Rivoluzione e sappiamo bene che è una cosa violenta. Io non mi considero una persona violenta, cerco di cambiare le cose in modo graduale».
Di cosa ha bisogno oggi il teatro?
«Credo che dopo lo shock della crisi finanziaria, al Regio serva serenità. C’è bisogno della consapevolezza che le cose possano cambiare davvero solo con pazienza e sapendo che costruire bene necessita di tempo. Fortunatamente è un pensiero condiviso. Ci sono aspettative forti, ma è chiaro che non tutto possa cambiare da un giorno all’altro».
Lei è cauto di carattere?
«Sì, i teatri sono luoghi di passioni forti. Ma serve trovare l’equilibrio giusto tra questa passione travolgente e la serenità di cui parlavo. Ogni giorno succede qualcosa, bisogna stare calmi e affrontare la situazione».
Mi racconta come è nato il suo amore per la musica?
«Avevo 17 anni, a Montpellier, ascoltando la Cavalleria rusticana e i Pagliacci. Mia madre mi ha comprato il cd e io l’ho consumato. Lo ascoltavo e lo riascoltavo senza mai fermarmi quando tornavo da scuola. Sono opere che parlano talmente bene della vita che mi hanno folgorato».
C’è un’opera che parla di lei? Che la descrive…
«Wow, che domanda. Un’opera che mi tocca molto è la Werther di Jules Massenet. Non vorrei sembrare troppo malinconico... Ma è un’opera davvero bellissima».
Lei suona qualche strumento?
«No».
Canta?
«Neppure. Approfitto della qualità degli artisti che abbiamo qui al Regio. È meglio per il mondo della musica in generale che io non canti».
Tornando seri, in più occasioni ha detto di voler sempre più persone - di tutte le fasce d’età - a teatro. Qual è il segreto?
«La qualità dello spettacolo. Quindi a ben rifletterci forse non è un segreto. Se non c’è un valido argomento le persone non vengono. E poi attrae la bellezza del luogo. Abbiamo lavorato molto sull’accoglienza e sul catering. Vogliamo offrire un’esperienza e comunicare che qui c’è qualcosa di davvero bello. Il Regio non è un luogo vecchio. Non è neppure “intellettuale” nel senso negativo del termine. È emozione pura».
Un sogno nel cassetto per il futuro?
«La sala piena per ogni recita. Stiamo lavorando sia sul luogo che sull’offerta artistica. La stagione 23-24 sarà molto più forte della precedente, con nuovi allestimenti. Vogliamo anche sviluppare maggiori relazioni con la città. Penso a quanto abbiamo fatto con Baratti & Milano».
Dopo i Caffè potrebbero arrivare collaborazioni con i ristoranti? Magari gli stellati.
«Mi piacerebbe».
Eleganza sabauda, gioielli e nobiltà. Il Regio è ancora quel tempio che custodisce le tradizioni o si è rinnovato guardando alle nuove generazioni?
«Anche i giovani si vestono bene per venire a teatro. C’è ricerca. Sicuramente vediamo look meno classici rispetto a un tempo, ma l’importante è sentirsi a proprio agio. Io sono vestito in maniera formale ogni giorno. Fa parte del mio ruolo e mi piace vedere che anche i più giovani ricerchino look eleganti per l’occasione. Non è certo un obbligo, ma è bello così».

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