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L'ALLARME

Sono a rischio un miliardo di api: spariti 8mila sciami in un anno

Domani si celebra la Giornata mondiale delle Api ma lo scenario è drammatico: «Senza polline rischiano di morire di fame»

Sono a  rischio un miliardo di api: spariti 8mila sciami in un anno

In Piemonte continua a diminuire il numero di api ma aumentano arnie e apicoltori

Se in Piemonte cresce di anno in anno il numero di alveari e apicoltori, continuano a diminuire gli insetti allevati nelle arnie. Almeno 8mila sciami, infatti, sono già scomparsi tra il 2021 e il 2022. E se si torna indietro al 2020 la perdita arriva almeno a quota 13mila. Solo contando quelle allevate e senza considerare le oltre 960 specie selvatiche di cui non esiste un censimento effettivo, ma che svolgono un ruolo fondamentale nell’impollinazione dei fiori all’interno del “ciclo del miele”. Un numero sempre più basso di api regine e operaie, dunque, che allarma uno dei principali settori dell’economia agricola della nostra regione e in particolare il capoluogo. Così, in occasione della Giornata mondiale delle Api che si celebra domani, Coldiretti suona un campanello d’allerta spesso poco considerato.

«Senza le api perderemmo buona parte della possibilità di fecondazione delle piante e avremmo un crollo sia nelle produzioni agricole che nei sistemi naturali alpini, collinari e di pianura» sottolineano da Coldiretti. Solo nel Torinese, infatti, sono attive circa 300 aziende apistiche che generano circa 1,2 miliardi di api che ronzano nei nostri spazi aperti, producendo ogni anno circa 900mila chilogrammi di miele di alta qualità per un volume d’affari, diretto e indiretto di oltre 9 milioni di euro.

La presenza delle api sui campi, nei boschi e nei pascoli montani è strettamente legata agli apicoltori che dal neolitico allevano questo “dittero sociale “la cui vita è collegata in modo inscindibile ai fiori che a loro volta sono legati alle api. Per questo sono diventate un simbolo degli effetti del cambiamento climatico del pianeta. E non solo. Un comparto apistico sano serve alla natura e alla biodiversità. Esistono, poi, legami tra api e agricoltura che sono poco conosciuti come quello tra l’allevamento bovino e le api, che volano soprano i prati foraggeri. La ricchezza di erbe e fiori nei prati del Torinese, mantenuta per le mucche, attira le api che a loro volta impollinano le erbe producendo così mieli millefiori. Ma le api sono anche fondamentali per la frutticoltura Tanto che, oggi, una delle attività complementari delle aziende apistiche del nostro territorio è l’affitto delle famiglie di api per i frutteti. Nei giorni delle fioriture si portano arnie in mezzo alle piante da frutta: gli apicoltori svolgono così un servizio di impollinazione “a chiamata”. Dopo le fioriture le api vengono spostate nuovamente nelle zone di provenienza. Insomma, un “circolo virtuoso” messo a serio rischio non solo dal clima e dai suoi effetti negativi.

Sono anni difficili per il settore apistico nel Torinese. «Nel nostro territorio le api stanno patendo il cambiamento climatico» spiega Claudia Roggero, apicoltrice di Rivoli, delegata provinciale di Coldiretti Giovani Impresa Torino che, da almeno due anni, osserva come la siccità abbia limitato le fioriture lasciando le api con scarsissimo miele. E gli effetti si vedono anche quest’anno. Un esempio? La fioritura di “acacia” è stata abbondante e lasciava finalmente ben sperare. Invece, i fiori bianchissimi e abbondanti di inizio maggio avevano pochissimo nettare. Per capire l’entità del problema, basti pensare che il miele di acacia vale il 50% della produzione annuale. Se un’arnia produce 15 chilogrammi di miele, quest’anno alcune arnie arrivano appena a due o tre». Non che le piogge abbondanti di questi giorni stiano migliorando le cose. «Le api non escono con la pioggia e con l’abbassamento delle temperature. Così stanno in arnia a consumare il proprio miele già scarso. Così stiamo già perdendo il miele abbondante di maggio». Sulle api incombono anche altri due problemi ancora poco conosciuti. «Oltre alle minacce di alcuni fitofarmaci usati in agricoltura, che non a caso, si sta cercando di ridurre, c’è la diffusione di campi elettromagnetici non naturali».



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