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Al processo
22 Maggio 2023 - 16:49
"Emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo . Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose 'ce la autocertifichiamo'. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico". A parlare, sentito al processo per la strage del Ponte Morandi che si celebra a Genova, è Gianni Mion l'ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia. Parole che per i parenti delle vittime suonano come l'ennesimo schiaffo. Perché questo significa che la tragedia, un dramma senza pari nella storia del nostro Paese, si poteva evitare.
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Era il 14 agosto 2018, alle ore 11.36, la pila 9 del viadotto crollò, causando la morte di 43 persone tra automobilisti in transito e alcuni dipendenti dell'AMIU (azienda municipalizzata di nettezza urbana) al lavoro nella sottostante isola ecologica. A seguito del disastro, 566 residenti della zona circostante dovettero essere sfollati e molti edifici residenziali troppo vicini al viadotto vennero successivamente demoliti. Tale fu anche il destino delle porzioni residue del ponte (con la sola eccezione di alcune rampe accessorie), che è stato poi sostituito da una nuova struttura denominata viadotto Genova San Giorgio.
In quella strage morirono anche dieci piemontesi: Andrea Vittone, Claudia Possetti e i figli di lei Manuele e Camilla Bellasio, di Pinerolo (Torino); Cristian Cecala, Dawna Munroe e la piccola Chrystal, di Oleggio (Novara); Alessandro Robotti e Giovanna Bottaro, di Arquata Scrivia (Alessandria); Marta Denisi, originaria di Sant'Agata di Militello, da alcuni anni infermiera ad Alessandria.
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