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LA VITA DELLA CITTA'

Emergenza sfratti: 30mila famiglie rischiano la casa in Piemonte

«Si tratta di una vera e propria bomba sociale a orologeria» denunciano i dem in consiglio regionale

Emergenza sfratti

Emergenza sfratti

Sarebbero circa 30mila le famiglie piemontesi a rischio sfratto. «Almeno» spiega il consigliere regionale del Pd Alberto Avetta, a margine della discussione che si è tenuta in Consiglio regionale. Il calcolo dei dem parla di circa 28.371 nuclei che «si troveranno in grave difficoltà per colpa della decisione del Governo Meloni di non rifinanziare il Fondo che consentiva di erogare contributi per le locazioni abitative» spiega Avetta. Tanti, infatti, sono i nuclei familiari che nel 2022 erano in possesso dei requisiti richiesti per ottenere il contributo e che ora sono a rischio sfratto, mentre nel 2021 le famiglie furono 18mila. «Si tratta di una vera e propria bomba a orologeria» sottolinea Avetta. Una bomba che finirà per scoppiare e che dovrà essere gestita da sindaci, «perché il venir meno di quel sostegno economico farà sì che le famiglie si rivolgeranno alle amministrazioni locali per trovare un qualche aiuto». La giunta di Alberto Cirio, dal canto suo, ha fatto sapere che le linee di finanziamento non sarebbero sostenibili dal bilancio regionale.

Bando edilizia popolare 
Nel frattempo, il Comune di Torino proroga al 31 luglio 2023 la scadenza del bando per l’assegnazione degli alloggi di edilizia sociale, inizialmente prevista per mercoledì 31 maggio.

Cinque anni di residenza
Il bando è stato prorogato in attesa che venga decisa l’azione civile, davanti al Tribunale di Torino, intentata dall’Associazione degli studi giuridici sull’immigrazione Asgi contro la Regione Piemonte e la Città di Torino. Fino a quel momento saranno ammessi “con riserva” anche i cittadini residenti a Torino alla data di approvazione del bando, ossia al 27/02/2023 (o esercitanti attività lavorativa in Torino alla stessa data), ma privi del requisito dei 5 anni di residenza o attività lavorativa nel territorio regionale con almeno tre anni, anche non continuativi, a Torino, previsto dalla legge regionale.

«Come ha più volte riconosciuto la Corte costituzionale, la passata residenza non ha alcun collegamento col bisogno che l’edilizia popolare intende soddisfare, e non è un indice di stabilità futura sul territorio» commenta l’assessore al Welfare Jacopo Rosatelli. «Sono proprio i lavoratori più fragili, che hanno contratti poveri e precari, a doversi spostare sul territorio nazionale alla ricerca di opportunità di lavoro migliori - prosegue -. La Città di Torino non ha il potere di modificare il requisito della residenza pregressa, previsto da una legge regionale, ma vuole farsi trovare pronta all’esito del probabile intervento della Corte costituzionale».

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