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MESSA DI SAN GIOVANNI

L’arcivescovo Repole attacca la tecnologia: «Scava drammi profondi nella società»

L'omelia pronunciata questa mattina nel Duomo di Torino

Arcivescovo di Torino Roberto Repole

Arcivescovo di Torino Roberto Repole

«C’è certamente una crisi di identità socio-economica. Questo è un dato evidente: da una città industriale Torino sta passando a essere una città con altra vocazione. Ma per ritrovare l’identità non ci possiamo fermare soltanto a questi dati». Così l’arcivescovo di Torino Roberto Repole, a margine della messa di San Giovanni, celebrata in Duomo per la festa del santo patrono del capoluogo piemontese.

Durante l’omelia monsignor Repole ha parlato di «crisi di identità per la città», spiegando che nella nostra società c’è stato un mutamento: «Nel 1951 il 65% dei torinesi viveva di industria e il 38% di terziario. Oggi i dati sono invertiti». Repole ha poi portato l’esempio di un suo amico medico, il quale racconta che spesso gli anziani non si sottopongono a esami perché non riescono, a causa delle pratiche elettroniche, a prenotare. C’è una tecnologia, secondo il vescovo, che «scava drammi profondi nella società». Nel progredire con lo sviluppo tecnologico, «bisogna anche sapere che c’è tutta una fetta di persone per le quali lo sviluppo, se non è accompagnato da altre dimensioni culturali e sociali, significa un senso di solitudine ancora più profondo».

L’identità noi la troviamo «ritrovando un’identità culturale nel senso alto del termine» ha commentato ancora l’arcivescovo di Torino parlando con i giornalisti. «Noi veniamo da una cultura che ha aiutato moltissimo nella dimensione critica. Oggi abbiamo bisogno di una cultura che sia costruttiva e che dica soprattutto ai più giovani per cosa valga la pena vivere». Infine, Repole si è soffermato sui giovani, in particolare sulla popolazione giovanile sempre più in crescita nelle carceri e sulla crescita tra i ragazzi dell’autolesionismo. «Basta andare al Regina Margherita o al Ferrante Aporti, per vedere come questi dati sono in crescita - attacca -. Bisogna rispondere al grido che viene lanciato c’è una questione di senso e di verità, se non la vediamo continueremo a lagnarci che le cose non vanno, ma lo faremo sulla pelle dei nostri ragazzi».

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