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LO SCANDALO

Caos pronto soccorso: «Sette giorni d’attesa su poltrone e barelle»

Ecco perché i sindacati dicono «no» ai privati

CLINICA MANGIAGALLI - PRONTO SOCCORSO - EMERGENZA CALDO PER ANZIANI

CLINICA MANGIAGALLI - PRONTO SOCCORSO - EMERGENZA CALDO PER ANZIANI

L’apertura della Regione Piemonte ai privati sulla possibilità di offrire servizi di pronto soccorso - frutto dell’incontro della settimana passata a Villa Sassi, tra il governatore Alberto Cirio, l’assessore Luigi Icardi e l’Associazione Italiana Ospedalità Privata - non sembra convincere del tutto i sindacati di categoria. «Non se si continua ad aspettare fino a cinque giorni su una barella per essere ricoverati o, nei casi peggiori, una settimana: quando non si dovrebbero superare 48 ore».


Continua il “boarding”
Il cosiddetto “boarding” che l’Anaao Assomed, attraverso la sua segreteria Chiara Rivetti, non si stanca di denunciare come uno dei problemi strutturali dei servizi di emergenza e urgenza. «Quelli, sul territorio, ci sono e in particolare a Torino dove il rapporto tra popolazione e strutture lo dimostra». A fronte di circa 878mila residenti nel capoluogo, Martini e Maria Vittoria coprono un bacino di utenza tra 150mila e 300mila abitanti, mentre Molinette, Giovanni Bosco e Mauriziano tra 600mila e 1,2 milioni di abitanti. Senza contare le specializzazioni di Sant’Anna, Cto e Regina Margherita, il calcolo dell’ Anaao è di una copertura tra 2,1 milioni e 4,2 milioni di abitanti. Più che sufficienti anche per la prima cintura.

«Il vero problema dei pronto soccorso non sono la carenza di strutture per le emergenze, ma la mancanza di servizi ospedalieri che li decongestionino davvero» analizza Rivetti. Tradotto in cifre e in esempio concreti, a fronte di un’alta incidenza di codici bianchi, verdi e azzurri - classificati come “non urgenze”, “urgenze minori” o “differibili” con una media d’attesa per l’accesso ai servizi che part tra 60 e 240 minuti - chi necessita di essere ricoverato, oltre a vedersi allungare i tempi, «può finire per aspettare fino a cinque giorni su una barella». E che le tempistiche siano queste, nel migliore dei casi, lo conferma anche il presidente della Società Italiana della medicina di emergenza urgenza, Fabio De Iaco.

«Manca l’ospedale»
«A Torino i pronto soccorso sono sufficienti: quello che manca è l’ospedale dietro, noi gli accessi li possiamo gestire nonostante le carenze e tutto il resto. Il problema è quando il paziente ci resta in pronto soccorso. E il primo punto che mi lascia un po’ perplesso sul privato è che, anche in quel caso, per gestire le emergenze dovrebbe avere alle spalle un ospedale capiente, che si possa fare carico, non solo delle patologie ad “alta redditività” perché gli specialisti non mancano, ma che si possa far carico dell’anziano pluripatologico» sottolinea De Iaco, senza porre una «barriera» ai privati. «Ci mancherebbe, abbiamo già esempi d’eccellenza in Italia come il San Raffaele o il Gemelli». Altro discorso è quello dei “finti” pronto soccorso. «Per cui a Torino non c’è la necessità di averne altri, ma non per una questione ideologica, ma perché abbiamo il problema di far respirare quelli che già abbiamo».

E la questione del “boarding” continua a essere centrale. «C’è anche chi aspetta una settimana ma, attenzione, a non confondere questo problema con quello degli accessi inappropriati. Ben vengano altre strutture che permettano di “filtrare” gli arrivi inappropriati in pronto soccorso. Ma pongo una domanda: dobbiamo farlo fare ai privati o dovrebbe preoccuparse, ad esempio, le continuità assisteniale sul territorio?». Massimo Esposto, Fp Cgil, lo dice a chiare lettere. «Siamo totalmente contrari e come i cittadini che hanno marciato in migliaia a difesa della sanità pubblica. La soluzione finalizzata a ridurre la pressione sui pronto soccorso passa attraverso una programmazione vera e seria: aumentare il numero dei posti letto della rete ospedaliera e rafforzare l'offerta sanitaria della rete territoriale».

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