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IL COMMENTO

Moncalvo: «John Elkann un re che ha perso la corona? Non è così e vi spiego perchè»

Le ombre lunghe delle cause Philips sulla rinuncia alla presidenza della “Giovanni Agnelli Bv”

John Elkann

John Elkann

Non un re che ha perso la sua corona. Ma un sovrano che ha riposto scientemente il potere per non correre rischi e riprenderselo in futuro, qualora le circostanze lo rendessero necessario. Così Gigi Moncalvo, autore di “Agnelli Coltelli” (Vallecchi) e profondo conoscitore della dinastia dell’Avvocato giudica l’abdicazione di John Elkann alla presidenza della “Giovanni Agnelli Bv”. «Una delle ragioni, se non la principale, è da ricercarsi nel fatto che la Philips risulta sommersa di cause giudiziarie negli Stati Uniti» spiega Moncalvo. «In moltissimi la accusano di aver causato danni permanenti ai pazienti» prosegue. Pare dunque che John tema che quelle cause che si stanno consumando oltre oceano possano avere delle conseguenze anche per i suoi affari. I provvedimento giudiziari toccherebbero i dirigenti Philips dell’epoca e non i nuovi azionisti, ma le precauzioni non sono mai troppe.

 

La riprova sta nel fatto che non è un nome a caso quello scelto per ricoprire il ruolo di presidente della cassaforte di famiglia. Si tratta di Jeroen Preller, avvocato olandese, partner dello studio legale NautaDutilh. «Ha il compito di fare da parafulmine in caso di problemi - rimarca Moncalvo -. Come è successo con la Juventus: è nato una sorta di governo tecnico anche per la “Giovanni Agnelli”».

John è stato poi attento nel mantenere ferma la composizione dei parenti nel board. «Avrebbe potuto mettere Andrea Agnelli al vertice della Giovanni Agnelli - si ipotizza -. Anche perché gli eredi di Umberto sono i secondi azionisti con l’11,85%». Eppure non lo ha fatto. Perché? «Nominare Andrea avrebbe voluto dire inimicarsi la Procura della Repubblica di Torino. Lui si è dovuto dimettere da Stellantis e da Exor, perché essendoci delle accuse di tipo societario il codice etico dell’azienda prevede che ci si dimetta». Anche (e forse soprattutto) per non mettere a rischio eventuali investimenti. Diverso è il caso della “Giovanni Agnelli”, che non essendo quotata in borsa non corre questo pericolo. «Tuttavia, se arrivasse una condanna per Andrea, sarebbe una macchia per tutta la società» spiega ancora Moncalvo. E questo è un rischio che John non voleva correre.

 

Meglio lasciare la presidenza in mano a un uomo di cui si fida e che - in caso di necessità -avrebbe saputo come agire. Dalla famiglia poi non arriverebbe mai nessuna rimostranza. «Tutti lo adorano, non hanno mai guadagnato tanto come da quando è lui a gestire gli affari».

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