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Le indagini sulla tragedia delle Frecce Tricolori

Jet precipitato: ecco perché il maggiore Del Dò ha evitato una strage GUARDA FOTO E VIDEO

Il motore spento, la prua verso il basso e il centro abitato proprio sulla rotta

Jet precipitato: ecco perché il maggiore Del Dò ha evitato una strage GUARDA LE FOTO

«Ho tenuto finché ho potuto, prima di lanciarmi». Così avrebbe riferito il maggiore Oscar Del Dò, il pilota di Pony4, il jet delle Frecce Tricolori precipitato sabato, causando la morte di una bambina di 5 anni, Laura Origliasso. Una frase che conferma due cose: la prima, che il maggiore - un pilota con oltre duemila ore di esperienza di pilotaggio - ha tentato fino all’ultimo di controllare l’aereo; la seconda, che con la sua manovra ha evitato una tragedia ancora maggiore. A poca distanza dalla pista, e lungo il corridoio di decollo del jet, ci sono infatti le case del centro abitato: se l’aereo, ormai privo di controllo, fosse arrivato lì sarebbe stata una strage. In procura, ma anche negli ambienti militari, si è guardato con attenzione ai dettagli del volo. Dettagli che possono essere osservati anche dal video che abbiamo pubblicato.

Vediamo queste fasi osservando quattro momenti distinti nei fotogrammi che pubblichiamo di seguito.

Lo stormo tricolore decollava da Caselle per andare a Vercelli, per l’esibizione. Appena in quota, il maggiore comunica «problemi al motore», non è stato reso noto se si tratti di “birdstrike” o altro. Di certo non ha più potenza: se di volatile si è trattato, questo deve essersi infilato nella presa d’aria ed essere finito tra le pale della turbina del propulsore Rolls Royce Viper che equipaggia il jet. Nel momento in cui comunica via radio, il pilota non ha più potenza, non ha spinta, può solo tentare di planare. Ma un atterraggio di emergenza in planata ha bisogno di alcune condizioni: se il velivolo è già in quota, la sua spinta consente una planata più controllata perché, più quota hai da perdere, più tempo hai per tentare di orientare il velivolo. Ma qui, appena decollati, non ci sono margini.

Il jet Aermacchi perde quota, appare inclinato sulla sinistra come se accennasse a una virata - di fatto, deviando dal corridoio di decollo e dalle case in linea d’aria, puntando a questo punto in direzione di un campo -, la prua appare più orientata verso terra. «Quando ho capito che mi sarei schiantato, mi sono lanciato» ha spiegato il maggiore. Questo si vede chiaramente: nella procedura di eiezione, il pilota aziona un maniglione, che per prima cosa sgancia il cupolino, dopo di che si attivano dei piccoli razzi che sparano in aria il sedile. Un sistema di altimetro e giroscopio attiva in tempi rapidi - siamo a bassa quota - l’apertura del paracadute. Nel momento in cui viene sparato fuori dal velivolo, il maggiore Oscar Del Dò viene sottoposto a una accelerazione di 12 g. La forza dei razzi del sedile, a giudicare dal video, sembra spingere ancora più in basso la prua dell’aereo, destinato a schiantarsi a terra, ancora all’interno dello spazio aeroportuale.

Il jet impatta tra la pista e la piattaforma per gli elicotteri, incendiandosi, ma la parte più grande della carlinga, ancora carica di velocità - in planata, la forza di spinta del volo si trasforma in energia cinetica -, continua la sua traiettoria. La tragedia è che, se la pista ha una barriera di sicurezza al fondo per frenare aerei che vadano lunghi in atterraggio, al fondo dell’area aeroportuale non c’è altro che una recinzione, facilmente abbattuta dal rottame, che riesce ancora a passare tra gli alberi, superare una piccolo corso d’acqua a bordo della strada, finire sull’asfalto, dove proprio in quel momento passava l’auto della famiglia Origliasso.

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