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La sentenza

Case e milioni di euro "regalati" dalla maestra morta: per il giudice l'amante è innocente

L'imputato era accusato di circonvenzione d'incapace ai danni di Giuseppina Romani

Maestra

Giuseppina Romani, scomparsa nel 2018

Il giallo dell’eredità della maestra milionaria si chiude con un finale a sorpresa: il suo amante non l’ha circuita per farsi dare 700mila euro e farsi nominare erede universale del suo patrimonio di soldi e immobili. Convinto di questa tesi, oggi il giudice Cristiano Trevisan ha assolto G.Z. perché «il fatto non sussiste».

E’ la conclusione inaspettata dell’inchiesta nata quando la maestra Maria Giuseppina Romani viene trovata morta nel suo alloggio di corso Belgio, il 24 novembre 2018. E subito spunta il nome dell’uomo di cui la donna era “innamorata”, un assicuratore poi finito alla sbarra per circonvenzione di incapace.
L’indagine, svolta dalla polizia giudiziaria della municipale e coordinata dal pubblico ministero Giulia Rizzo, era partita dall’ipotesi di omicidio. Anche perché, come aveva riferito in udienza la colf della donna, «nell’ultimo periodo piangeva tutte le notti e diceva: sono il suo bancomat. Il giorno prima che morisse l’ho vista e mi ha detto che quella sera voleva lasciarlo. Era venerdì. L’ho trovata morta la mattina del sabato».

L’autopsia, eseguita dal dottor Roberto Testi, non fa emergere nulla che avvalori la tesi dell’omicidio. Infatti quell’accusa viene archiviata per mancanza di prove. Va avanti, invece, il procedimento per circonvenzione d’incapace: l’imputato avrebbe sedotto la vittima approfittando della sua “deficienza psichica”. Secondo la pm Rizzo, aveva «plagiato» Romani fino a indurla a regalargli case, auto, vestiti. E a farsi nominare anche l’erede di tutti i beni della maestra: tra conti in banca, investimenti, polizze e immobili, si stima che il suo patrimonio fosse di 15 milioni di euro. Giusi, così la chiamavano nel quartiere, credeva di essere l’amante dell’imputato, che è sposato.

Secondo l’accusa, sarebbe stata solo una signora fragile, che non aveva le capacità di rendersi conto della differenza tra amore e «circonvenzione di incapace», il reato contestato. Ma l’imputato ha sempre negato tutto, come ha detto in aula con una dichiarazione spontanea prima della sentenza: «Dire certe cose di Giusi danneggia solo la sua memoria. Era una persona colta, intelligente, capace e forte. E tutte le sue decisioni e iniziative le ha sempre prese in maniera autonoma».
La pm Rizzo aveva chiesto una condanna a 3 anni per G.Z., oltre alla confisca di soldi e immobili. Anche perché l’uomo aveva già firmato un accordo con i parenti della maestra, che prevede una suddivisione dei beni (60% a lui e il 40% a loro): una violazione del testamento per la Procura, «un accordo chiesto dalle presunte parti offese» secondo l’avvocato dell’imputato, Claudio Strata. Che ora esulta dopo l’assoluzione: «E’ finita come noi dicevamo sin dall’inizio: l’innamoramento non costituisce circonvenzione».

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