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Lo studio
26 Settembre 2023 - 15:00
E’ appena trascorsa l’estate più calda da quando, oltre un secolo fa, sono iniziate le misurazioni delle temperature. L’anticiclone africano continua a minacciarci ancora, malgrado gli ultimi giorni di settembre dovrebbero spalancare le porte all’ingresso, si spera trionfale, dell’autunno una volta fresco e piovoso. L’estate sembra non voler passare con i suoi spaventosi bollettini di disgrazie ecologiche ed ambientali. Le strade e le piazze soffocate dal calore degli asfalti , lo zero termico oltre i cinquemila metri, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento e l’aumento della temperatura del mare, gli uragani con i danni conseguenti e via sciagurando.
Uno stato di ansia continua
Si è vissuta l’estate in uno stato di ansia continua per il violento cambiamento climatico che stiamo subendo. Ma è la parte più povera, più fragile e quindi meno resiliente della popolazione che subisce le peggiori conseguenze del clima “impazzito”. E’ la popolazione che abita le periferie delle grandi città, cementificate, senza alberi , in case costruite solo con criteri di estrema economicità. Case con pareti che d’estate si arroventano in mezzo a micidiali isole di calore.
Case abitate da famiglie che non possono permettersi un impianto di condizionamento e tanto meno il costo delle bollette per tenerlo in funzione. Famiglie, spesso formate da anziani, che non possono permettersi una vacanza di qualche giorno per fuggire dal caldo. Molti soccombono alle ondate di calore. I comuni hanno raccomandato di rifugiarsi nei supermercati nelle ore più calde. L’anagrafe del Comune di Torino ha qualche giorno fa dichiarato che nel mese di luglio 2023 vi è stato un picco di mortalità in città del +25% rispetto alla media degli altri mesi. E’ la prova di una drammatica correlazione tra caldo record ,infrastrutture inadeguate e vittime tra le fasce più vulnerabili della società.
E’ evidente ,quindi, che chi non ha la possibilità economica di raffrescare il proprio ambiente di vita e difendere l’integrità del proprio fisico subisce una sorta di deprivazione relativa ed è oggetto di una nuova povertà specifica ma consequenziale al ceto sociale di appartenenza, alla sua attività lavorativa e al suo livello di scolarizzazione.
Lo studio
A questo proposito, un nuovo studio pubblicato su Nature Sustainability da ricercatori dell'Università di Oxford, dell'Università Ca' Foscari Venezia, della Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e della London School of Hygiene & Tropical Medicine, porta l'attenzione su una nuova e rilevante dimensione della povertà che sta chiaramente emergendo in un mondo in via di riscaldamento: la cooling poverty.
Lo studio evidenzia la natura multidimensionale della cooling poverty e introduce il nuovo concetto di cooling poverty sistemica. La cooling poverty (povertà da raffreddamento) si può definire sistemica quando si sviluppa in contesti in cui organizzazioni, famiglie e individui sono esposti agli effetti dannosi del crescente stress da calore, principalmente a causa di infrastrutture inadeguate.
Tali infrastrutture comprendono beni fisici (come soluzioni di riqualificazione energetica passiva, catene del freddo o dispositivi tecnologici personali per il raffreddamento), sistemi sociali (come reti di supporto e infrastrutture sociali) e risorse immateriali (come la conoscenza, che può permettere di adattarsi intuitivamente agli effetti combinati di calore e umidità). Lo studio identifica cinque dimensioni fondamentali che interagiscono tra loro, definendo insieme il concetto proposto di cooling poverty sistemica: clima, comfort termico di infrastrutture e beni, disuguaglianza sociale e termica, salute, istruzione e standard lavorativi.
La prima autrice dello studio, Antonella Mazzone - ricercatrice affiliata all'Università di Oxford - sottolinea che "la definizione proposta si discosta dai concetti esistenti di povertà energetica e fuel poverty. La cooling poverty sistemica evidenzia il ruolo delle infrastrutture di raffreddamento passivo (utilizzando acqua, superfici verdi e bianche), dei materiali da costruzione per un'adeguata protezione termica esterna e interna e delle infrastrutture sociali.
La sua portata sistemica considera anche lo stato dell'offerta di raffreddamento disponibile per il lavoro all'aperto, l'istruzione, la salute e la refrigerazione. In questo senso, lo spazio e il luogo giocano un ruolo chiave in questa concettualizzazione della povertà da raffreddamento. Va oltre l'energia e abbraccia un'analisi multidimensionale e multilivello di infrastrutture, spazi e corpi".
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Enrica De Cian, docente all'Università Ca' Foscari Venezia e ricercatrice senior presso il CMCC, co-autrice dello studio, sottolinea come "il concetto ha molte importanti implicazioni politiche, in quanto evidenzia l'importanza di affrontare i rischi legati all'esposizione al calore con un coordinamento efficace tra diversi settori, come l'edilizia abitativa, la sanità, l'alimentazione e l'agricoltura, i trasporti". Questo nuovo indice può aiutare i governi a programmare in modo tempestivo ed etico gli interventi di raffreddamento più necessari, tenendo in considerazione i relativi compromessi. "La prossima sfida sarà quella di rendere pienamente operativo il quadro proposto per il raffreddamento in diversi contesti e su diverse scale, ed è questa la direzione che desideriamo perseguire nel futuro lavoro di ricerca", afferma Giacomo Falchetta, ricercatore di CMCC@Ca’Foscari che ha contribuito allo studio.
La ricerca ha rivelato che il caldo non colpisce tutti allo stesso modo, è stata individuata una nuova dimensione della povertà in un mondo che si surriscalda. E’ l’inquietante risvolto dell’estate più calda, una preoccupazione ma anche un impegno per le autorità ad effettuare, per tempo nelle nostre città, interventi atti a mitigare le conseguenze più catastrofiche e dolorose del riscaldamento globale.
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