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Il caso

La prescrizione travolge il processo sul Salone del Libro. Il pm: «Non procedere per Piero Fassino»

Il magistrato chiede la condanna solo per 5 dei 17 imputati, tra cui l’ex sindaco Fassino

fassino

Piero Fassino

Solo cinque richieste di condanna su 17 imputati, con gli altri 12 «non doversi procedere» a causa della prescrizione: così, a otto anni dai fatti contestati, il “fattore tempo” travolge il processo sul Salone del Libro.
Il pubblico ministero Gianfranco Colace aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di 17 persone per presunte irregolarità nell’affidamento del Salone del libro tra il 2016 e il 2018 e altri reati. Tra loro anche l’allora assessore regionale Antonella Parigi e l’ex sindaco Piero Fassino, oggi vicepresidente della Commissione Difesa della Camera: i reati contestati a loro e ad altri 11 imputati sono tutti prescritti e gli unici a rischiare la condanna sono l’allora presidente della Fondazione, Giovanna Milella, un commercialista e tre revisori dei conti, accusati di falso per il bilancio 2015 della Fondazione. Ieri, di fronte alla giudice Federica Gallone, Colace ha chiesto una condanna a 9 mesi per Milella, 8 mesi per il professionista e 1 anno per i revisori (tutti con sospensione condizionale della pena).

Martedì e mercoledì prossimi ci saranno le repliche di tutti gli avvocati difensori, che daranno battaglia perchè puntano a un’assoluzione nel merito. D’altronde, nell’udienza del 5 luglio, Fassino aveva rilasciato dichiarazioni spontanee rivendicando di aver «salvato Torino con la cultura: ogni mio atto è stato compiuto del rispetto delle leggi per il bene del Salone del Libro e della città». Ma lui e altri 12 imputati avranno comunque il salvagente della prescrizione. Col risultato che i reati contestati si estingueranno quasi tutti prima che si arrivi alla sentenza di primo grado.

D’altronde i fatti contestati risalgono a molti anni fa: le presunte irregolarità sono relative all’affidamento del Salone nel triennio 2016-2018 al Lingotto Fiere, società di Gl Events, e per la trattativa che avrebbe favorito l’ingresso nel 2016 di Intesa San Paolo come socio unico, attraverso un finanziamento di 500mila euro, indispensabile per la sopravvivenza della Fondazione.

Il pubblico ministero Gianfranco Colace

Oggi Colace ha depositato 160 pagine di memoria scritta e ricostruito a voce l’indagine per oltre un’ora: secondo l’accusa, si è trattato di un «bando geneticamente turbato, il vantaggio per un concorrente era nel suo Dna. Era cucito su misura ed è oggettivo che ci sia stato un vantaggio per Gl e Intesa». Per il pm quella gara era lo specchio di come la Fondazione per il Libro avesse «disperato bisogno di soldi» e venisse gestita «con disinvoltura e leggerezza». A processo c’era anche l’allora patron del Salone, Rolando Picchioni, che aveva sempre respinto l’accusa di aver pilotato i bandi, manomesso i conti e usato 800mila euro di fondi pubblici in maniera illecita. Picchioni è scomparso a marzo e, per lui, il processo si è esaurito per “morte del reo”.

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