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IL FORUM IN REDAZIONE
10 Novembre 2023 - 07:00
Forum in redazione con il sindaco Lo Russo
Due anni dopo quella vittoria che in pochi si aspettavano, per il sindaco di Torino Stefano Lo Russo è tempo di bilanci. Lo abbiamo invitato in redazione per fare una sorta di “tagliando”, come si usa dire in questi casi. Una chiacchierata a tutto tondo su come la città si prepara a vivere il periodo di trasformazione più importante della sua storia recente. Dalla realizzazione della linea due della metropolitana, ai lavori nei giardinetti sotto casa, i fondi del Pnrr cambieranno il volto di Torino e, per il sindaco, la vera sfida sarà quella di non perdere la complicità dei cittadini durante tutto il percorso.
Alla fine della traversata poi, la città della Mole sarà diversa. Lontana dal caldo abbraccio di mamma Fiat. Con meno forza lavoro necessaria da impiegare in fabbrica, ma con un polo d’avanguardia dell’economia circolare nella vecchia Mirafiori. Con una periferia nord rinata, grazie anche - si vocifera - a sostanziosi investimenti privati e a studenti fuori sede che rivitalizzano gli appartamenti lasciati vuoti. C’è poi la questione degli eventi, a cui Torino tende da anni e che sembra scivolarle tra le dita. La sfida è ricca per il sindaco Lo Russo, che dopo due anni di mandato ora mostra anche un lato più personale. O almeno ci prova. Lo vediamo dai suoi social, dove domenica postava “un bel fiore” che nasce dal cemento nel quartiere in cui è nato, Santa Rita. E i torinesi lo apprezzano e lo premiano con centinaia di likes. «C’è bisogno di messaggi positivi» ci spiega e per un attimo dismette i panni del Professore.
Sindaco, benvenuto. Sono passati due anni dalla sua elezione. Come si sente?
«Come se stessi correndo una maratona. Richiede costanza nel lavoro e la pazienza di non farsi condizionare da distrazioni esterne lungo il percorso. Forse siamo anche più avanti rispetto a quello che avrei immaginato all’inizio di questa avventura».
In che senso?
«Ricordo che due giorni dopo l’insediamento mi hanno fatto vedere i conti del Comune e mancavano 93 milioni di euro. La prima grossa attività che abbiamo fatto è stata proprio quella di mettere in sicurezza i conti. Se non avessimo avuto l’aiuto dell’allora governo Draghi, non avremmo avuto neppure la possibilità di ragionare sul futuro di Torino come stiamo facendo oggi».
Ecco, se parliamo di futuro non possiamo prescindere dai fondi del Pnrr.
«Sono finanziamenti di cui la città ha bisogno e sono orgoglioso di dire che non abbiamo perso nemmeno un euro. C’è stata una attenta cabina di regia per la distribuzione delle risorse. È stato un lavoro di visione e di scelte politiche forti, come ad esempio l’investimento sulle biblioteche di quartiere. Abbiamo già 51 milioni di euro di lavori affidati. Non è stato semplice».
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Preoccupa l’arrivo di centinaia di cantieri. Esiste una regia dei lavori per evitare la sovrapposizione degli interventi? O, al contrario, per scongiurare il rischio che una strada venga spaccata due o tre volte, laddove non sarebbe necessario?
«C’è una cabina di regia trasversale che deve mettere insieme cantieri di diverse dimensioni, che hanno soggetti e tempi di attuazione differenti e che si sommano a lavori privati, della Regione e a quelli per le grandi infrastrutture. È estremamente sfidante. Cercheremo di ridurre il più possibile i disagi, ma non sono evitabili».
Parliamo di automotive. C’è ancora la vocazione industriale nel futuro della città?
«La nostra città è protagonista più di altre della rivoluzione industriale che sta vivendo il settore dell’auto. Non riguarda ovviamente solo Torino, ma il passaggio alla produzione elettrica comporterà il 30% in meno di mano d’opera per la produzione dei mezzi».
Vuol dire che uno su tre non servirà più. Cosa farà la città per accompagnare il cambiamento?
«Nel mio ruolo, le leve che ho a disposizione sono solo di carattere urbanistico. Un sindaco non può erogare incentivi, ad esempio».
Ci dica, cosa vi siete detti in quel famoso incontro con il presidente Alberto Cirio e Tavares?
«Siamo riusciti a far diventare Torino il polo europeo dell’economia circolare. Non era affatto scontato. Anche perché lo abbiamo fatto in assenza completa di incentivi statali».
Il governo italiano dovrebbe essere più incisivo, secondo lei?
«Senza un intervento del governo che dia un sussidio, diretto o indiretto, la transizione la vedo dura. In ogni caso credo che sia la direzione giusta e per il ruolo di Torino sono ottimista. Abbiamo fatto un’operazione con Stellantis, di fatto da soli, Comune e Regione molto promettente. La nostra città si è posizionata al meglio che poteva, nelle condizioni date».
Sicurezza. Qualche settimana fa ai piedi del Municipio una signora di Barriera Milano le chiedeva di comportarsi da “buon padre di famiglia”. Ne è rimasto colpito?
«Ho trovato suggestivo che abbiano scelto il Comune per protestare contro l’insicurezza. La mia amministrazione mette la sicurezza tra le priorità di mandato e si fa parte attiva nel chiedere agli organi deputati di investire con più risorse umane ed economiche».
Il Prefetto Cafagna però sostiene che non servano più agenti.
«Io mi sono fatto interprete e parte attiva delle richieste che mi vengono da parte dei cittadini. In ogni caso, io mi sono rivolto al ministro dell’Interno Piantedosi, non al Prefetto. Barriera è tante cose. Anche molto belle, non è solo spaccio e prostituzione. Questo non vuol dire negare i problemi, anzi. Chiedo e pretendo che il governo attenzioni Torino come sta facendo anche in altre città».
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Si dice che ci sia una certa attenzione nei confronti di Barriera da parte di fondi di investimento privati. Ne sa qualcosa?
«Ci sono interessi e prese di informazioni. Peraltro, io non sono ideologicamente contrario al fatto che vi siano degli investimenti privati di rigenerazione urbana. Per certi aspetti lo trovo un segnale molto positivo: denota che viene colta una traiettoria di miglioramento dell’area».
Pensa che ci debba essere una regia pubblica in questo contesto di rigenerazione finanziato dai privati? Sul modello, diciamo, di quanto successo per il Quadrilatero.
«Serve un modello che governi le situazioni e non lasci alle libere dimensioni di mercato questo tipo di trasformazioni. Noi abbiamo uno strumento importante a disposizione, che è quello del Piano Regolatore. Da un lato non dobbiamo deprimere la spinta di investimenti privati. Una città non rinasce facendo leva solo e unicamente sugli investimenti pubblici. Non conosco nessuna città di successo in cui il privato non abbia investito. Serve partenariato pubblico-privato».
E poi arriverà la linea due della metropolitana nella zona nord.
«È chiaro che avere una connessione veloce tra il Trincerone di via Sempione, ad esempio, e il centro e il Politecnico cambia la potenziale fruizione di Barriera di Milano per gli studenti fuori sede. Farà la differenza nella decisione di dove andare ad abitare».
Stiamo per entrare nel vivo della campagna elettorale per le Regionali del Piemonte. Dalla fila del suo partito la accusano di andare “troppo d’accordo” con Alberto Cirio. È vero che vi sentite quotidianamente?
«Credo sia normale che il sindaco della Città Metropolitana abbia contatti frequenti con chi guida la Regione. Io non ho mai fatto mistero di pensare che il bene dei cittadini venga prima dell’appartenenza politica».
La Lega le imputa di essere “ostaggio della sinistra”. Ma lei ci crede davvero che la biodiversità si tuteli non tagliando l’erba alta?
«Io credo che la dimensione dei partiti sia diversa da quella istituzionale. È normale che in una coalizione ampia e plurale ciascuno sia portatore di una sua sensibilità. Compito del sindaco è fare sintesi e cercare di coniugare le visioni con le fattibilità pratiche».
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Quindi non tagliamo l’erba?
«Non entro nel merito delle singole proposte, che considero comunque utili contributi al dibattito».
Ci faccia un previsione: Pd e Cinque Stelle troveranno una strada per andare insieme al voto del 2024?
«Osservo con doveroso rispetto le dinamiche in corso nella dialettica tra i partiti. Al netto delle questioni specifiche mi sembra doveroso da parte del Pd ricercare, compatibilmente con una visione di sviluppo e coesione sociale, tutte le convergenze politiche che possono costituire una progettualità capace di competere con il centrodestra».
Se non si trovasse l’accordo su un nome politico, quello del rettore Guido Saracco - che lei conosce bene - potrebbe essere un profilo su cui convergere?
«Se interpellato darò la mia chiave di lettura, ma con il giusto e doveroso rispetto di quelle che sono dinamiche di partito che è bene che si sviluppino in modo libero e democratico. Nel Pd si discute, non c’è un padrone che decide per tutti. Spero però che il dibattito prenda rapidamente una piega programmatica e si parli di contenuti».
Chiudiamo con i grandi eventi. Abbiamo visto in queste settimane la città brulicare di turisti da un lato e pullman strapieni, la metro chiusa alle 22 e lunghe file per prendere un taxi, dall’altro. Sembra quasi che la città voglia spiccare il volo ma non ci riesca.
«La sfida che abbiamo sugli eventi è quella di organizzarli bene. Torino ha tanti margini di miglioramento. Nel 2024 ci saranno il Giro d’Italia, il Tour de France e l’assemblea dell’Anci, solo per citarne alcuni».
Manca un grande festival estivo della musica, non crede?
«Ci stiamo lavorando. Abbiamo l’esigenza di mettere a sistema quello che già esiste. Stiamo cercando di capire se, con il sistema musicale torinese, si riesca a fare questo ulteriore passo. Partiamo dalle eccellenze musicali che abbiamo sul territorio».
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