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IL DRAMMA
16 Novembre 2023 - 16:15
I genitori di Alessandro Gaffoglio, morto suicida nel carcere di Torino
Era malato e si faceva di crack ma nessuno l'ha mai curato. «Nostro figlio l'hanno lasciato solo».
Non c'era rabbia oggi negli occhi e nella voce dei genitori di Alessandro Gaffoglio, quando hanno ricordato la morte del figlio, che a 24 anni si è tolto la vita in una cella del carcere di Torino dov'era detenuto da tredici giorni, nell'agosto del 2022. C'è solo il desiderio di verità: per quella morte, oggi, rischia di essere processata una psichiatra dell'istituto, accusata di omicidio colposo. Alessandro Gaffoglio aveva già tentato di uccidersi il 9 agosto. Ma nonostante questo, spiegano gli avvocati di famiglia, Laura Spadaro e Maria Rosaria Scicchitano, nessuno avvisò i genitori e il medico invece di inserire il giovane, incensurato e recluso per rapina, stabilì un regime di sorveglianza lieve e non di un livello superiore. Ai genitori invece fu concesso il colloquio per il 16 agosto mentre Alessandro si soffocò con un sacchetto di nylon nella notte tra il 14 e il 15 agosto.
«Se avessimo potuto vederlo, avremmo cercato di tranquillizzarlo perché eravamo coscienti che lui fosse in una condizione di disperazione ed era importantissimo per noi arrivare lì il più presto possibile» spiega il padre di Alessandro, Carlo Gaffoglio.
L'avvocato Spadaro non riesce a trattenere le lacrime quando racconta che, secondo l'agente della polizia penitenziaria che sorvegliava il 25enne tramite i monitor, Alessandro «dormiva pacificamente» (è quanto dichiarato agli inquirenti). «In realtà si era ucciso usando lo stesso metodo con cui ci aveva provato 5 giorni prima: con un sacchetto di nylon, che gli avevano lasciato quando gli hanno consegnato i vestiti», aggiunge il legale. «Mi chiedo se per una depressione ci vogliono anni per venirne fuori, invece per un tentato suicidio bastano pochi giorni ed è tutto risolto?», afferma la mamma di Gaffoglio, Monica Fantini. «Alessandro era un ragazzo luminoso, dolcissimo, che aveva passato l'inferno tremendo. Noi lo abbiamo adottato che aveva otto anni - continua la mamma - in adolescenza ha sviluppato un problema psichiatrico e nonostante quello lui ha cercato con tutte le sue forze di curarsi e di studiare, lavorare. Però il suo problema era così grande che per il momento non ce l'aveva fatta».
I genitori non sono soddisfatti della richiesta di giudizio per la psichiatra, perché il carcere, a detta loro, ha delle grosse responsabilità: «Non c'è stato comunicato del tentato suicidio e quando Alessandro è morto - concludono mamma e papà - ci ha telefonato solo il cappellano. Il sistema carcerario sulle persone fragili è sordo».
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