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LA STORIA

Da cantante lirica a chef, così Naomi fa scoprire il suo Giappone a tavola

Un pezzo di Estremo Oriente nel cuore del Piemonte. "E' anche una storia d'amore"

Naomi Sonoda

Naomi Sonoda

Una zuppa di miso calda, il frittatone di uova. E poi quel pollo marinato tipico di Miyazaki dal profumo inconfondibile. Quando parla dei sapori della sua infanzia, la voce di Naomi Sonoda si fa più squillante, quasi a voler riacchiappare la gioia di quando la mamma metteva in tavola per tutta la famiglia i piatti fumanti della tradizione. Ora la chef del Le Petit Restaurant Japonais ripropone la cucina casalinga della sua terra, nella romantica cornice dei laghi di Avigliana. Insieme al compagno Simone Oberto, padrone di casa impeccabile con il Giappone nel cuore, ha ricreato un angolo di oriente unico che ha attirato le attenzioni dei buongustai. Tuttavia, oltre a quella per il vitello tonnato, c’è un’altra passione che ha accompagnato Naomi nel suo viaggio verso l’Italia. Quella per la musica classica di Verdi e Puccini.

Dal Giappone ad Avigliana. Quella del Le Petit Restaurant Japonais è innanzitutto una storia d’amore. Come vi siete conosciuti lei e Simone?
«Ci siamo conosciuti a Tokyo, ormai 20 anni fa. Eravamo in coda in una pizzeria. Io ero da sola, mentre Simone era con un suo amico giapponese. Ricordo che stavo aspettando il mio turno per entrare nel ristorante e Simone mi è passato avanti. Io ho pensato subito che fosse un po’ strano, perché in Giappone non è molto frequente vedere qualcuno che salta la fila. Lo stavo osservando con insistenza, lui se ne è accorto e mi ha chiesto di mangiare insieme per farsi perdonare. È iniziato tutto così, a tavola».


Che lavoro faceva a Tokyo?
«Facevo la cantare lirica».
Era famosa?
«Diciamo che cantavo molto. Mi sono laureata al Conservatorio a Tokyo, dove ho imparato sia a cantare che a leggere la musica. Subito dopo ho avviato la mia carriera insieme a un gruppo di lirica. Cantavo anche con il coro di un teatro, spesso come solista. Ero molto attratta dalla lirica italiana».
Il suo autore preferito?
«Amo molto Verdi. E anche Puccini».
E poi come è passata dalla lirica alla cucina?
«Simone nel 2016 ha messo un annuncio su Facebook, in cui diceva di essere alla ricerca di una persona giapponese che volesse lavorare con lui in Italia. Il progetto non era ancora definito nei dettagli. Mi sono proposta e una volta arrivata, in pochi mesi, abbiamo deciso di lanciarci nel progetto di un home resturant. Avevamo un solo tavolo. Diciamo che volevamo capire se quello che proponevamo piacesse alla gente».
E piaceva?
«Avevamo sempre il tavolo prenotato nel salotto di casa nostra».


Si dice spesso che la cucina cinese che si mangia in Italia non sia quella autentica. È lo stesso per la cucina giapponese? Avete dovuto adattare alcuni gusti?
«Noi facciamo la vera cucina tradizionale casalinga giapponese. Nessun riadattamento».
Qual è il piatto che le ricorda di più casa?
«Mia mamma faceva sempre la zuppa di miso e quasi ogni giorno la frittata di uova. Io vengo dal sud del Giappone e i sapori sono un po’ diversi da quelli del resto del paese. I ravioli sono la nostra specialità e poi c’è il pollo Miyazaki. Siamo praticamente gli unici in Italia a fare questo piatto».
Ci dà la ricetta?
(ride) «Si tratta di un pollo che viene prima impanato e poi marinato e fritto. È un po’ il simbolo della mia città natale».
C’è invece un piatto della cucina italiana che l’ha stregata?
«Mi piace moltissimo il vitello tonnato. Apprezzo molto anche la carne cruda della cucina piemontese. Quando vivevo a Tokyo mangiavo comunque spesso gli spaghetti alle vongole».
Qual è il suo ristorante preferito in Piemonte?
(ci pensa) «Massimo Camia di Barolo».
Da home restaurant a ristorante effettivo. Cosa viene dopo?
«Questo locale lo abbiamo aperto un anno fa. In questo momento siamo molto concentrati su questa cosa, ma in futuro non si sa mai».
Una cosa che le manca del Giappone?
«L’educazione forse. E la puntualità».

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