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L'inchiesta
18 Febbraio 2024 - 12:00
La droga correva sui telefonini di una volta, come i vecchi Nokia che non si collegano a internet. Ma anche attraverso canali criptati su BQ Aquaris e SkyEcc. E le schede, quasi tutte del gestore Lyka Mobile, erano intestate a prestanome: così Roland e Maik Hajdaraj, padre e figlio albanesi, riuscivano a contattare fornitori e spacciatori della cocaina smerciata in tutta Italia.
Per non destare sospetti, il papà risultava assunto in un autolavaggio di Moncalieri (non coinvolto nell’inchiesta): «Ma non è mai stato visto lavare una macchina o sostituire un set di gomme» annotano gli investigatori negli atti dell’inchiesta che ha portato la Guardia di Finanza a sgominare due organizzazioni criminali radicate a Torino e Alessandria. Che si aggiungono a quella al centro di una terza indagine, con diversi punti in comune: l’origine albanese dei capi, la droga come business e un autolavaggio come copertura, sulla scia di quanto succedeva in “Breaking Bad”, una delle serie televisive più famose di sempre. Una finzione già diventata realtà ai tempi di Mafia Criminale: il boss Massimo Carminati usava una stazione di servizio come “ufficio” per i suoi affari romani.
Tre organizzazioni, un solo business, metodi simili: così gli albanesi comandano la rotta della droga, che parte dal Sud America, passa da Rotterdam e arriva in Italia su Suv o camion tracciati con il Gps e modificati per creare dei vani nascosti. E per comunicare usano telefonini di vecchia generazione o piattaforme difficili da intercettare. Eppure la Procura torinese ci è riuscita, riuscendo a sequestrare chili e chili di droga. E, soprattutto, a intercettare i presunti trafficanti mentre parlavano di “grappe stanche” che in realtà erano stupefacenti di qualità scadente.
La prima organizzazione, guidata dal 43enne Geront Dedja, è stata sgominata e ha portato nove persone alla sbarra. Il processo è già arrivato alle battute finali: nei giorni scorsi, il pubblico ministero Enrico Arnaldi Di Balme ha chiesto una condanna a 17 anni di carcere per il presunto boss (assistito dall’avvocato Basilio Foti). Per gli altri le richieste vanno tra i 5 e i 6 anni.
Per le altre due organizzazioni l’inchiesta è ancora in corso, coordinata dal sostituto procuratore Valerio Longi. E una decina di giorni fa sono scattate le prime misure cautelari: i due Hajdaraj, 59 e 28 anni, sono finiti in carcere insieme ad altri 22 presunti membri delle organizzazioni che portavano la cocaina nelle “piazze” di Torino e Alessandria. In particolare, il primo dei due gruppi aveva la base in città e operava nei comuni dell’area Nord, come Venaria e Settimo. Ma aveva ramificazioni e collegamenti con altre province del Piemonte e delle regioni vicine.
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