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Il processo
14 Gennaio 2024 - 07:20
La cocaina partiva dal Sud America e arrivava a Rotterdam, base europea di una organizzazione albanese ramificata in mezza Europa. Da lì partiva verso Torino, dove i chili di droga arrivavano nascosti dentro auto modificate e tracciate. E, come copertura, c’era un autolavaggio regolarmente attivo in via Giachino: esattamente come in “Breaking Bad”, una delle serie televisive più famose di sempre. Una finzione già diventata realtà ai tempi di Mafia Criminale, visto che il boss Massimo Carminati usava una stazione di servizio come “ufficio” per i suoi affari romani.
Massimo Carminati
Qui è tutta un’altra storia, anche se di mezzo c’è comunque un boss di tutto rispetto: Geront Dedja, conosciuto anche come Tola, ha 43 anni e una carriera criminale cominciata un paio di decenni fa. Già condannato per traffico internazionale di droga e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ora è ritenuto il capo di un’organizzazione che aveva ramificazioni e referenti in Grecia, Olanda, Belgio e Germania: lo dice un’indagine coordinata dal pubblico ministero Enrico Arnaldi Di Balme, che presto potrebbe concludersi con una nuova condanna per Dedja e gli altri imputati.
Un'immagine della "cimice" messa dalla polizia
Secondo gli inquirenti, insieme a due suoi parenti, il 43enne albanese gestiva l’importazione delle partite di cocaina dal Sud America ai Paesi Bassi (a Rotterdam, in particolare). La compravano al prezzo di 27mila euro al chilo, investendo anche più di 200mila euro per volta. Quindi la caricavano su Suv tracciati con il Gps e modificate per creare dei vani nascosti. Una volta arrivata in Italia, grazie a uomini di fiducia dei capi, la droga arrivava nella base torinese di Borgo Vittoria. Ma anche in altre due “filiali”, a Frosinone e Lissone (in provincia di Monza Brianza). Infine Dedja e gli altri presunti capi stabilivano il prezzo di vendita e gestivano lo spaccio al dettaglio: tutto utilizzando smartphone appositamente programmati per evitare le intercettazioni, attraverso apparecchi BlackBerry e sistemi Encrochat (una piattaforma che permette comunicazioni crittografate).
Ma gli inquirenti sono riusciti comunque a intercettare le conversazioni. E, ricostruito tutta la trafila, Dedja e altri otto albanesi sono stati rinviati a giudizio e il processo è già arrivato alle battute finali: nei giorni scorsi, il pm Arnaldi Di Balme ha chiesto una condanna a 17 anni di carcere per il presunto boss (assistito dall’avvocato Basilio Foti). Per gli altri le richieste vanno tra i 5 e i 6 anni.
La villa sequestrata a Caselle
La sentenza è attesa per il 26 gennaio ma qualche provvedimento è già stato preso: a novembre, su provvedimento di sequestro emesso dal Tribunale, sono stati sequestrati una villa di Caselle, quattro auto di lusso, un intero complesso aziendale del ramo edile, soldi in contanti e rapporti bancari per una cifra complessiva di oltre 600mila euro. Secondo gli inquirenti, Dedja li aveva acquistati con i proventi del traffico di droga. E aveva intestato tutto alla compagna, così come l’autolavaggio di via Giachino.
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