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L'INTERVISTA

Poche donne in politica e ancora troppi stereotipi: «E’ tempo di cambiare»

La presidente del comitato imprenditoria femminile di Torino lancia un appello: «Non ci sono mestieri per soli uomini»

Imprenditoria e polirica al femminile

Imprenditoria e polirica al femminile

Sorridente e determinata, Brigitte Sardo è la presidente del comitato imprenditoria femminile di Torino, oltre a rivestire il ruolo di Ceo di Sargomma Srl, ora Società Benefit, azienda di famiglia specializzata in componentistica in gomma e materie plastiche.



Presidente, parliamo di gender gap.
«I settori dove, ad oggi, il divario tra uomini e donne sono ancora evidenti sono quello industriale e quello politico. Mondi a prerogativa maschile che, con difficoltà scardinano gli stereotipi. Questa situazione si rende più evidente negli ultimi tempi con l’avvento della digitalizzazione e dell’Industria 4.0.
In che senso?
«Sono ambiti a cui le donne spesso accedono con maggiore difficoltà, sia nei percorsi di studi che nelle posizioni lavorative più tecniche».
Cosa si può fare per invertire questa tendenza?
«Grazie ai numerosi progetti e alle azioni che si stanno implementando a tutti i livelli, il divario si sta riducendo quasi ovunque, ma bisogna lavorare ancora molto per azzerarlo e lavorare di più sulla cultura scolastica, facendo capire ai giovanissimi che non esiste un lavoro per maschi o per femmine. Non c’è un ruolo più adatto a un uomo o a una donna, pur nel rispetto delle differenze di genere. Dobbiamo far capire che le opportunità sono le stesse per tutti, siano esse legate alla meccanica, alla robotica o al digitale».
Il governo cosa può fare, secondo lei, per azzerare questo divario?
«Uno degli strumenti messi in campo dal governo e che, dal mio punto di vista è efficacie è il sistema di certificazione della parità di genere, in quanto è destinato a premiare le imprese che sviluppano progetti per garantire la gender equity». 
 È opinione comune che se la maggioranza delle donne non occupate entrasse nel mondo del lavoro, il Pil del Paese aumenterebbe nettamente. Cosa ne pensa?
«Concordo pienamente. Il problema dell’uscita delle donne dal mondo del lavoro (o del loro non ingresso) è legato alla mancanza di servizi per la cura e la conciliazione vita-lavoro».
Come a dire che, se lascino, c’è un motivo.
«La maggior parte delle donne che lascia il lavoro lo fa dopo la maternità perché non sa come conciliare la vita lavorativa con quella di cura dei figli. A questo si aggiunge il fatto che l’età media si alza e spesso le donne, che sono i soggetti culturalmente più deputati alla cura, si devono occupare non solo dei figli, ma anche dei genitori anziani, impedendo loro di lavorare. Se ci fossero più servizi per la famiglia, soprattutto con delle rette più alla portata di tutti, sono certa che il numero di lavoratrici aumenterebbe e con esso anche il Pil del nostro Paese».




Se così fosse, ci sarebbero anche più donne in ruoli apicali secondo lei?

«Le donne pagano il prezzo di essere state assenti per centinaia di anni dalle posizioni di comando. Governi, associazioni datoriali e imprese lavorano per invertire questo trend con policy mirate. I risultati si iniziano timidamente a vedere. Basti pensare che siamo riusciti a cambiare il nostro pessimo track-record di non aver mai avuto una premier donna. Continuiamo ad avanzare. Abbiamo però ancora molto da fare».

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