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L'inchiesta
23 Aprile 2024 - 06:00
Foto d'archivio
Ufficialmente vodka, amari e sigarette erano soltanto di passaggio in Italia: entravano al porto di Genova e uscivano dal porto di Trieste. «Da lì possono andare in Albania, Iran, Macedonia, Montenegro» dice un addetto a Rocco Zangrà, affiliato alla ‘ndrangheta e organizzatore di questo giro di spedizioni. Peccato che fosse tutto un trucco: i carichi arrivavano in Italia ma poi ci restavano per essere vendute di contrabbando.
Ne sono convinti il Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Finanza e la Direzione distrettuale antimafia della procura, che hanno ricostruito i movimenti di una presunta frode doganale da 15 milioni di euro. E hanno ottenuto il rinvio a giudizio di 14 persone, che ora si trovano davanti al giudice per l’udienza preliminare. Assistiti tra gli altri dagli avvocati Lea Fattizzo, Marisa Ferrero e Carmine Ventura, stanno facendo scelte diverse: qualcuno andrà a dibattimento, altri hanno scelto il rito abbreviato.
L’inchiesta sembra uscita da un vecchio film sul proibizionismo negli Stati Uniti di cento anni fa. Oggi, come allora, l'ipotesi è che dietro ci siano personaggi legati alla criminalità organizzata. ‘Ndrangheta, nel caso specifico: il presunto vertice dell’organizzazione è proprio Zangrà, presunto boss di Alba. Ma l’indagine cita anche una serie di altri affiliati all’organizzazione criminale calabrese o legati ad altre inchieste sul contrabbando. E pure un ex finanziere con una lunga lista di precedenti penali e congedato dalle Fiamme Gialle perché, quasi 30 anni fa, si faceva pagare per “chiudere un occhio” al passaggio di furgoni carichi di sigarette e alcolici al confine fra Italia e Slovenia.
Secondo gli investigatori, coordinati dal pubblico ministero Enrico Arnaldi di Balme, nell’organizzazione guidata da Zangrà c’era un trucco più articolato: «All’arrivo nei depositi doganali e fiscali, la merce veniva dichiarata falsamente come destinata alla successiva esportazione e quindi in regime di transito T1», quello «che permetteva di non assolvere al pagamento dei diritti doganali». Ma «in realtà la merce era di fatto destinata all’immissione in consumo sul territorio nazionale».
Così sarebbero stati contrabbandati in Italia 15.740 chili di sigarette «marca Regina Red e Regina Blu», oltre a nove bancali di tabacco per narghilè e 14 mila litri tra vodka (54 casse) e amaro (2.313 casse). Merito di una serie di rapporti fra chi forniva i magazzini o la documentazione e chi gestiva il contrabbando grazie a una rete internazionale di contatti.
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