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Il processo

Molestava le ragazzine sull’autobus. Lui: «Non è possibile, sono gay»

Un nigeriano di 39 anni era l’incubo delle studentesse che viaggiavano sul 68

Prova autobus

Erano arrivate a scendere prima dal bus o a nascondersi nei bar. Oppure andavano a scuola a piedi: meglio arrivare in ritardo in classe che rischiare di incontrare ancora quell’uomo e ritrovarsi la sua mano sulla coscia. O peggio. Alla fine, dopo l’ennesima molestia, hanno avvisato l’autista e lo hanno fatto arrestare.

Adesso l’uomo, un nigeriano di 39 anni, è finito a processo per una serie di violenze sessuali aggravate ai danni di studentesse minorenni (gli episodi contestati sono almeno quattro). E ieri le sue vittime sono sfilate una dopo l’altra in un’aula del Palazzo di Giustizia, puntando letteralmente il dito contro di lui. Perché tutte erano sicure che, seduto sul banco degli imputato, ci fosse il responsabile dell’incubo che hanno vissuto fra dicembre 2021 e marzo 2022: «Ero seduta sul bus e mi sono sentita toccare la coscia - esordisce Emma, che racconta di essere scoppiata a piangere dopo essere scesa dall’autobus - Ho alzato lo sguardo e ho visto che mi aveva appoggiato una mano e intanto si sfregava le parti intime. In un’altra occasione si è seduto vicino a una mia compagna, la toccava e intanto puntava il telefono verso di lei, come se la stesse filmando».

Aggiunge un’altra ragazza, Maria (i nomi delle ragazze sono tutti di fantasia): «Ero da sola sul pullman e ho notato che quel tipo stava allungando la mano sulla mia gamba, io gli ho tirato uno schiaffo per allontanarla. Io e una mia amica lo abbiamo anche incrociato vicino ai giardini Balbo e ci siamo rifugiate in un bar per evitarlo». Un caso sfortunato, a quanto pare: il “molestatore seriale”, infatti, preferiva colpire soprattutto a bordo degli autobus. Il gruppo di studentesse, in particolare, lo incrociava sul tragitto della linea 68, sempre nel tratto fra il Palazzo di Giustizia e Porta Nuova (lungo corso Vittorio Emanuele II). Se lo sono ritrovate davanti talmente tante volte che il problema era pure stato discusso in classe. Non solo. Ormai le studentesse avevano stampata in mente il volto di quell’uomo ed erano certe che fosse sempre la stessa persona: «Dopo che abbiamo avvisato l’autista e lo hanno arrestato, i carabinieri ci hanno fatto fare il riconoscimento dalle foto - ricordano tutte le ragazze sentite come testimoni - Siamo sicure che fosse lui perché era sempre vestito allo stesso modo, con delle scarpe Converse rosse, i jeans, una felpa col cappuccio e una giacca militare usurata. Aveva sempre la mascherina abbassata sul mento, da cui spuntava una cicatrice che arrivava fino alla guancia».

Al termine delle testimonianze, il pubblico ministero Barbara Badellino ha chiesto che l’imputato venga condannato a 4 anni di carcere: «Il problema non è solo dal punto di vista del reato, qui c’è una questione intima e anche sociale - sottolinea l’avvocato di parte civile, Alessio Tartaglini - Addirittura una ragazza ha detto che arrivava in ritardo a scuola per timore di subire molestie». Ma l’imputato nega tutto: «Non posso aver fatto quello di cui mi accusano - spiega in aula - Io sono gay: se mi hanno visto eccitato, forse è perché pensavo a qualcos’altro».

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