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A colloquio con l'Avvocato
22 Luglio 2024 - 06:20
Foto di Gianni Agnelli di Gorupdebesanez - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31061591
Buongiorno Avvocato. Mi dica qualcosa della situazione attuale della sua famiglia e delle aziende che lei ha guidato con successo. Partiamo dalla recente decisione dei suoi eredi, in particolare di John Elkann, di vendere la maggioranza della Fiat ai francesi della Peugeot. Cosa ne pensa?
"Ah, la mia amata Fiat nelle mani dei francesi. Mi sembra quasi uno scherzo del destino. Ricordo i giorni gloriosi di quando la Fiat, sotto la guida di mio nonno Giovanni Agnelli, divenne il simbolo del progresso industriale italiano. Dalla prima Fiat 3 ½ HP del 1899, abbiamo attraversato guerre, crisi economiche e cambiamenti epocali, ma la Fiat è sempre stata un faro di innovazione. Vendere la Fiat ai francesi è come vendere un pezzo della nostra anima. Una volta eravamo noi a comprare marchi e a dettare le regole, come con l’acquisizione della Lancia, dell’Alfa Romeo e della Ferrari. Ora, invece, sembriamo aver perso la nostra identità".
La Fiat è stata protagonista della storia industriale italiane. Vuole raccontarci qualche aneddoto sulla sua grandezza?
"Mi consenta, la Fiat era protagonista non solo in Italia. Ricordo quando lanciammo la 500 nel 1957. Era un’auto piccola, ma rivoluzionaria. Rappresentava il desiderio di mobilità degli italiani nel dopoguerra. Tutto il mondo dei costruttori internazionali restò a bocca aperta per il suo successo. E che dire della 124, che vinse il premio Auto dell’Anno nel '67? Allora ogni modello aveva una storia, un’anima. Poi non dimenticò certo la Panda, disegnata da Giugiaro, che divenne un simbolo di praticità e affidabilità. La nostra capacità di innovare e adattarci era senza pari".
E riguardo alla Juventus e alla decisione di estromettere Andrea Agnelli?
"Vede, la Juventus, per me, non era solo una squadra di calcio, era una parte della nostra famiglia. Ricordo ancora le vittorie storiche, come la Coppa dei Campioni del 1985 a Bruxelles. Fu una notte agrodolce, con la tragedia dell’Heysel che rattristò la nostra vittoria. Andrea ha sicuramente fatto i suoi errori, ma mi chiedo se eliminarlo fosse l'unico esito praticabile. La Juventus sta attraversando un periodo di declino che non avrei mai voluto vedere. Una volta eravamo una potenza calcistica temuta e rispettata in Europa; ora sembriamo una nave senza timone. Ricordo con affetto i giocatori leggendari come Michel Platini e Alessandro Del Piero, che hanno incarnato lo spirito vincente della Juventus. Ecco, forse pensare ad un Del Piero che ripercorre le orme di Giampiero Boniperti, da giocatore a capitano a presidente, potrebbe essere una soluzione. La suggerisca a John da parte mia".
(Accenna uno dei suoi seducenti sorrisi)
Parliamo della situazione familiare. La guerra tra John e sua madre Margherita è ormai cosa nota. Cosa ne pensa?
"Le dispute familiari sono una tradizione vecchia quanto il mondo, ma vedere la mia famiglia così divisa è un colpo al cuore. Ricordo i tempi in cui l'unità era la nostra forza. Mio nonno Giovanni ha sempre predicato l’importanza della coesione familiare. Quando mio padre Edoardo morì prematuramente, mia madre Virginia Bourbon del Monte si fece carico della famiglia con un coraggio straordinario. La forza degli Agnelli è sempre stata l’unità. In tempi difficili, abbiamo sempre saputo stringerci e andare avanti insieme. Oggi vedo solo frammenti di ciò che eravamo. Il conflitto tra i miei cari nipoti John, Lapo, Ginevra e la mia cara figlia Margherita è l’emblema di una disgregazione che non avrei mai voluto vedere e che mi fa soffrire."
La Stampa, il glorioso quotidiano che sotto la sua guida era un faro dell’informazione internazionale, sembra aver perso il suo smalto. Cosa ne pensa di questo crepuscolo?
"Eh, La Stampa! Ricordo quando il giornale arrivava per primo nelle edicole di Parigi, Londra, Washington. Quando soggiornavo nella mia casa affacciata su Central Park a New York, fare due passi per andare a comprarla alla Feltrinelli sulla 57ma rappresentava un rito, per noi Agnelli irrinunciabile. Le copie arrivavano al Kennedy Airport col volo diretto da Torino. Eh, La Stampa era un simbolo della nostra eccellenza. Quando ne stabilivo la linea editoriale, era più di un semplice giornale, era un’istituzione. Poteva far cadere un governo, avendo la capacità di influenzare l’opinione pubblica non solo in Italia, ma nel mondo intero. Ricordo le prime pagine storiche, gli articoli che facevano discutere aprendo dibattiti politici e culturali. Oggi, vederla ridotta così, politicamente sbilanciata e distribuita a malapena in Italia e neanche in tutte le edicole, è veramente malinconico. La Stampa sembra aver smarrito il suo mordente, il suo spirito critico, la sua incisività che, pur nel rigoroso rispetto dell'obbiettività e dell'imparzialità, ne certificavano il tratto caratteristico e l'autorevolezza".
La Ferrari ha visto cambiamenti radicali. Tornerà a vincere?
"La Ferrari è sempre stata un raffinatissimo gioiello, un marchio che rappresenta l’eccellenza italiana nel mondo. Ho bene in mente i giorni gloriosi delle vittorie in Formula 1 con Niki Lauda e Michael Schumacher. Ogni vittoria era un trionfo non solo per la Ferrari, ma per l’Italia intera. Anche qui, vedo una gestione che forse non rispetta appieno la nostra tradizione di esemplari primati. La Ferrari dovrebbe essere sempre al top, ma temo che si stia perdendo qualcosa per strada. La passione, l'innovazione, il desiderio di essere i migliori, la rincorsa incessante alla vittoria. Confermo quel che dissi forse più di mezzo secolo fa: non tutti gli Italiani tifano per la Nazionale, mentre tutti gli Italiani e il cinquanta per cento dei non Italiani tifano Ferrari. Bene, deve tornare ad essere così".
Lei è sempre stato un personaggio originale, ammirato per la sua arguzia e la sua eleganza. Da questo punto di vista Lapo Elkann può essere considerato il suo vero erede?
"Ah, Lapo! Ragazzo davvero simpatico. Molto brillante e spiritoso. Ma, vede, a me sono sempre piaciute solo le donne".
In conclusione, Avvocato, cosa vorrebbe dire ai suoi eredi?
"Veda, è bene dare consigli solo quando sono richiesti. Voglio solo dirle quale sia sempre stata la mia bussola: non dimenticare mai chi noi Agnelli siamo e da dove veniamo. La nostra storia è fatta di conquiste, di sfide vinte contro ogni pronostico negativo. Non possiamo permetterci di disperdere il nostro patrimonio, sia esso industriale, sportivo o giornalistico. E, aggiungo, umano. Ricordo con affetto le lezioni di mio nonno e di mio padre, la loro visione, la loro determinazione. E, soprattutto, vorrei sottolineare l'importanza che attribuivano all'unità familiare. Senza di essa, dicevano, non siamo nulla. Spero che i miei eredi possano ancora scrivere pagine gloriose della nostra storia, mantenendo vivo il nostro spirito, la nostra passione e il nostro orgoglio".
Grazie, Avvocato. Le sue parole, anche se immaginarie, risuonano forti e chiare.
"Grazie a lei. Ricordi, la storia non si costruisce solo con le parole, ma con i fatti. E son sicuro che i miei eredi sapranno ancora scrivere pagine gloriose di quella storia, con la stessa determinazione e passione che hanno caratterizzato gli Agnelli per generazioni. E complimenti a TorinoCronaca. È un giornale molto ben fatto, quel Fossati è maledettamente in gamba, lo lasci dire ad uno che se ne intende".
(Intervista Impossibile di Walter Altea in collaborazione con ChatGPT)
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