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24 ANNI FA

Agnelli, due esposti in Procura sulla morte di Edoardo e il "giallo" del pentito

La denuncia dell'amico: "Non può essersi suicidato". Quel volo dal viadotto e l'autopsia mai eseguita

Agnelli, due esposti in Procura sulla morte di Edoardo e il "giallo" del pentito

Domani, 15 novembre, saranno ventiquattro anni dalla morte di Edoardo Agnelli, ritrovato privo di vita sotto un cavalcavia dell’autostrada Torino-Savona. E da ventiquattro anni c’è una persona che ripete che «è impossibile che Edo si sia suicidato». Una persona che cerca una correlazione fra la morte tragica del primogenito dell’Avvocato e i misteri della successione, le quote della società Dicembre e le frizioni con il padre e il suo entourage. Ma a fronte di una personalità anche complessa, com'era quella di Edoardo, e le incognite legate a una cura a base di metadone.

Due esposti in Procura

Quell’uomo è Marco Bava, già piccolo azionista Fiat, impiegato Telecom e «consulente della Fiat fino al 1992». Nei mesi scorsi Bava ha presentato due diversi esposti sul caso di Edoardo Agnelli: uno in Procura e l’altro alla Procura Generale, chiedendo in entrambi di riaprire di fatto le indagini.

Oltre ai dubbi che da sempre espone - la mancanza di una vera e propria autopsia, il fatto che la scorta non lo avrebbe seguito mentre usciva al volante della sua Fiat Croma, la mancanza di un biglietto di addio, proprio lui che era un grafomane -, in quello in Procura, datato febbraio 2024, Marco Bava parte dalle notizie di cronaca sulla battaglia legale per l’Eredità Agnelli fra Margherita, figlia di Gianni e Marella, e i suoi figli John, Lapo e Ginevra Elkann. Un argomento già sollevato a suo tempo, il 18 novembre 2000 (tre giorni dopo la morte di Edoardo), sentito dall’allora pm Riccardo Bausone di Mondovì. Bava, si legge nel verbale contenuto nel fascicolo sulla morte di Edoardo Agnelli, ha raccontato di aver incontrato il figlio dell’Avvocato, di cui era amico, tre settimane prima, per discutere della Dicembre, la società semplice che consente il controllo dell’impero ex Fiat. Edoardo, spiega, era perplesso riguardo a questa società. Inoltre, nelle varie carte legate a eredità e successione di Agnelli, c’è la famosa “Lettera di Monaco”, scritta da Gianni Agnelli di suo pugno prima di un rischio intervento al cuore: qui l’Avvocato dispone la cessione di alcuni suoi beni e quote della Dicembre, in particolare al nipote John Elkann «preso atto del rifiuto di mio figlio Edoardo». Perché Edoardo aveva rifiutato di entrare in Dicembre?

«Jaky? Un errore»

Quanto alla scelta, con cooptazione nel cda di Fiat, di John Elkann, Bava nell’esposto spiega: «Edoardo, nella sua ultima illuminante intervista a Paolo Griseri de “il Manifesto” (15 gennaio 1998), dà una risposta netta sul suo, e di suo padre, “nipotino” Jaky: “Considero quella scelta uno sbaglio e una caduta di stile, decisa da una parte della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di mio padre, che infatti all’inizio non voleva dare il suo assenso. Non si nomina un ragazzo pochi giorni dopo la morte di Giovanni Alberto, per riempire un posto. Se quel posto fosse rimasto vacante per qualche mese, almeno il tempo del lutto, non sarebbe successo niente. Invece si è preferito farsi prendere dalla smania con un gesto che io considero offensivo anche per la memoria di mio cugino”».

Il caso Dicembre

«Secondo me Edoardo aveva una gran voglia di vivere» risponde a una domanda Bava nel 2000. Concetto che ribadisce anche oggi. All’epoca, però, a domanda rispondeva «non ho elementi concreti che mi facciano ritenere sussistenti pressioni tali da parte di familiari da indurlo a compiere un atto anticonservativo».

EDOARDO COME GIORGIO AGNELLI, IL FRATELLO "PAZZO" DI GIANNI E UMBERTO

Nel documentario di Giovanni Piperno, “Il pezzo mancante”, del 2014, c’è tal Bert Hellinger “esperto di costellazioni familiari” che sembra mettere in relazione la morte di Edoardo Agnelli con quella dello zio Giorgio. Bert Hellinger ha messo a punto le “costellazioni familiari” come forma di terapia psicoanalitica, andando a scavare nel passato per comprendere quanto accade a una persona nel presente. E come la vita di Edoardo Agnelli, il 15 novembre del 2000, è finita ai piedi di un viadotto alto una settantina di metri, quella dello zio Giorgio Agnelli è finita giù da una finestra di una clinica svizzera il 2 aprile 1965.
Come Edoardo Agnelli era soprannominato «Crazy Eddie» al college negli Stati Uniti, anche Giorgio, il fratello minore di Gianni, nato nel 1929, era considerato “strano”, se non addirittura pazzo. Di lui si è sempre saputo pochissimo, a parte gli studi non completati ad Harward e il fatto che non fosse interessato all’impero economico. Secondo la poetessa Marta Vio, che era stata sua compagna per una decina d’anni, Giorgio soffriva di schizofrenia e in quella clinica era sottoposto a una “terapia del sonno”, non essendoci protocolli farmaceutici adatti all’epoca. La poetessa sostiene che furono Gianni e Susanna Agnelli a farlo ricoverare, facendolo prelevare dai carabinieri sotto casa. Storie mai confermate ufficialmente dicono che, poco tempo prima, aveva sparato contro Gianni - mancandolo -, infuriato per le continue angherie del fratello maggiore. Altre fonti, invece, dicono che avesse minacciato - sempre per vendetta verso l’Avvocato - di vendere le sue azioni Fiat, rendendo così l’impero scalabile.
Anni e anni dopo, Gianni Agnelli - che mai parlava di Giorgio, una volta disse «mio fratello era di 14 anni più giovane (era Umberto, ndr), mio nonno aveva poca scelta» nell’indicarlo come successore - avrebbe confessato che in Edoardo vedeva «la stessa malattia di mio fratello».
Edoardo faceva o aveva fatto uso di stupefacenti. Era spirituale, forse addirittura convertito all’Islam, aveva studiato letteratura e non economia, non si riteneva un manager, ma certo sapeva di poter avere un ruolo in Fiat «sono il figlio di Gianni Agnelli, non sarà facile mettermi da parte».

«Dei fatti FIAT ho parlato anni fa con il Pm Fusco di Milano senza alcuna verbalizzazione. Alla procura di Torino ho presentato più esposti per spiegare che la morte di Edoardo Agnelli era la sola possibilità di escluderlo dall’eredità, dal momento che, su mio consiglio tecnico, non ha mai accettato di entrare nella Dicembre come ha fatto la sorella» è la tesi che sostiene nell’ultimo esposto (quelli del passato sono stati tutti archiviati).

L’ira della famiglia

Per la famiglia, però, Bava non era un amico di Edoardo, lui sostiene che abbiano fatto di tutto per allontanarlo: «Secondo quanto a suo tempo appreso da ambienti vicini alla famiglia Agnelli, per un certo periodo, si è avvicinato, anche al fine di trarne vantaggi o benefici personali, al dr. Edoardo Agnelli. Questo, resosi poi conto della reale situazione, prendeva le distanze, troncando ogni rapporto con lo stesso», annotava il dirigente Digos Giovanni Sarlo in una informativa del novembre 2000 alla Procura della Repubblica.

«Non fu protetto»

Una decina di anni fa, Bava fu querelato dall’allora ad Sergio Marchionne, venendo poi assolto. Il giudice - riportava al tempo Gigi Moncalvo - scriveva che «Da sempre Bava ha sostenuto che Edoardo Agnelli è stato ucciso a causa presumibilmente di un suo scomodo ruolo negli equilibri di potere interni alla Fiat». E, quanto alla morte di Edoardo Agnelli, più che la vicenda ereditaria, o la scelta dell’amministratore delegato della Fiat, l’accento viene posto su un altro tema: «È chiaro - scrive il giudice - che se qualcuno si era assunto il compito di tutelare Edoardo Agnelli, non lo ha svolto in modo adeguato, sia che egli sia stato ucciso sia che si sia suicidato».

L’indagine

Nel fascicolo della Procura di Mondovì non c’è autopsia, né esame tossicologico, qualche errore nel referto - altezza e peso di Edoardo, circa un metro e 75 e un’ottantina di chili, quando lui passava il metro e novanta e, anche per le terapie di metadone, era sui 120 chili - e alla fine l’esclusione di ogni alternativa al suicidio, pur in assenza di biglietti, per quanto la Procura di Mondovì avesse anche ipotizzato - come da prassi - l’istigazione al suicidio.

D'altra parte, la sua auto era stava vista passare, due volte, ai caselli dell'autostrada, con solo una persona a bordo. La patente era aperta sul cruscotto - come il gesto di un suicida che non voglia lasciare dubbi sulla sua identità -, il bastone sul sedile del passeggero. Come aveva fatto Edoardo, sovrappeso e zoppicante, a superare le barriere del viadotto? Per il giudice, la sua alta statura lo avrebbe aiutato e la "determinazione" del gesto suicidiario avrebbe moltiplicato le sue forze. Eppure, quella mattina, uscendo di casa aveva detto che andava solo a fare un giro e, dall'auto, aveva telefonato a un suo assistente chiedendo di spostare all'indomani l'appuntamento dal dentista.

La lettera del pentito

Da quel giorno il caso è rimasto aperto per molti e non sono mancati gli episodi misteriosi, come la lettera anonima che tirava in ballo un pentito di mafia e una informazione secondo cui quello di Edoardo sarebbe stato un finto «suicidio eccellente» per coprirne un altro. Una lettera sgrammaticata, scritta a penna in stampatello maiuscolo su un foglio di quaderno, in cui si tiravano in ballo anche magistrati eccellenti e vertici delle forze dell'ordine.

Per il dottor Ellena, dell'Asl di Fossano, che fece la ricognizione del cadavere, sentito in Procura tempo dopo, «la causa della morte è riconducibile al trauma cranio-facciale e toracico avvenuta a seguito di grande precipitazione. Preciso ancora che la presenza di ecchimosi in pressoché tutti i distretti corporei indica che al momento dell’impatto al suolo il soggetto era ancora vivo, trattandosi di reazioni vitali».

Le droghe e la depressione

Edoardo faceva o aveva fatto uso di stupefacenti. Era spirituale, forse addirittura convertito all’Islam, aveva studiato letteratura e non economia, non si riteneva un manager, ma certo sapeva di poter avere un ruolo in Fiat «sono il figlio di Gianni Agnelli, non sarà facile mettermi da parte». Al momento della sua morte, era seguito da un terapeuta e seguiva una terapia a base di metadone - la madre Marella si oppose sempre al che fosse ricoverato in una comunità, si preferì confinarlo a Villa Sole, dependance di Villa Frescot, con gli uomini della security Orione a vigilare - e molti sospetti si sono sempre addensati sugli effetti della terapia e anche sul presunto terapeuta che, non essendo un medico, potrebbe non aver colto la reale sofferenza di Edoardo.

Cresciuto con le tate, quasi sempre ignorato da quel padre che pure amava - e dalla madre Marella -, Edoardo era privo di ruoli ufficiali nell’impero, ma confidava che con la salita alla poltrona di amministratore delegato del cugino Giovanni Alberto Agnelli - morto di tumore a 33 anni, nel 1997 - avrebbe potuto occuparsi almeno della Juventus, o ideare soluzioni diverse alle fabbriche d’auto, investendo nell’ecologismo per esempio. Ci sono lettere, indirizzate al padre, dove nella confusione dell'esposizione, si coglie comunque l'affetto anche nei confronti della sorella Margherita, cui secondo lui Gabetti manca di rispetto.

Quella mattina del 15 novembre uscì di casa presto, da solo, alla guida della sua Fiat Croma. Arrivò a Marene, per poi tornare indietro fino al viadotto. Si scoprirà che aveva già fatto due volte quel tragitto, nei giorni precedenti. Sarà un dipendente della società autostradale a dare l’allarme, insospettito dall’auto ferma con il motore acceso. Sul posto arriva il questore di Torino Nicola Cavaliere, che accompagna Gianni Agnelli. «Povero figlio mio...» lo sente mormorare chi è abbastanza vicino, quella mattina. Il dottor Ellena, dell’Asl di Fossano, compie la ricognizione del cadavere, ché l’Avvocato vuole che tutto sia fatto in fretta.

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