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Eredità Agnelli, "i lingotti dell'Avvocato in mezzo ai tesori dei narcos". E su Edoardo...

La seconda parte dell'intervista a Gigi Moncalvo che "sfida" gli Elkann e la Juventus

Ecco la seconda parte dell'intervista a Gigi Moncalvo, autore di "Agnelli, the Italian Royal Family", con nuove rivelazioni sulla famiglia Agnelli e le sue fortune (e disgrazie). La conversazione riparte da Edoardo Agnelli, dalla sua "estromissione" dai destini della Fiat.

Una domanda un po’ provocatoria: io ho provato una volta a scriverlo perché me lo chiedevo onestamente: che Fiat sarebbe stata con Edoardo? Non dico né presidente né amministratore delegato, ma nel consiglio di amministrazione, in grado di proporre delle idee. Lui che era anche ecologista. Ci avrebbe portato verso una Fiat green come la vogliono fare adesso?
«Edoardo si diede la zappa sui piedi definitivamente quando partecipò alla Marcia della Pace di Assisi ed era una delle prime edizioni di quella importante manifestazione pacifista. Tutti coloro che sfilavano avevano un ramoscello d’olivo tra le mani e l’Ulivo di Prodi non c’era, era di là da venire. Si diede la zappa sui piedi, per le due interviste che fece, una all’Espresso e una a Panorama. In realtà lui fece un’intervista all’Espresso, ma l’Espresso, che era di proprietà di Caracciolo, quindi del cognato di Gianni Agnelli, bloccò quell’intervista e non la fece pubblicare. Allora lui che cosa fece? Fece un’intervista anche con Panorama, il quale la annunciò con giorni di anticipo. E a quel punto l’Espresso, allora c’era una concorrenza spietata tra l’Espresso e Panorama, disse non possiamo rimanere indietro e la pubblicarono. L’essenza qual era? Uno slogan. Mettiamo dei fiori nei nostri cannoni, vale a dire smettiamo di costruire le armi, noi Fiat, delle mine anti-uomo, smettiamo di vendere questi strumenti di morte, è una cosa altamente pacifista. Lo pigliavano in giro dicendo questo vuole trasformare Mirafiori in una boutique di fiori appunto Mirafiori e quindi lo sputtanarono, lo tagliarono fuori dicendo è pericoloso per il futuro dell’azienda perché la voce armi costituiva una voce molto alta e molto proficua del fatturato dell’azienda. La Fiat non so come sarebbe oggi. Ci sarebbe da chiedersi anche con Edoardo come sarebbe stata senza Gabetti e Grande Stevens, perché chiaramente un personaggio come Edoardo avrebbe chiesto una pulizia nel management. Avrebbe chiesto una deromitizzazione della Fiat, avrebbe chiesto di mettere via le incrostazioni, soprattutto personaggi come Gabetti che a lui avevano fatto del male. Quando Gabetti enfatizzò, per esempio, che Edoardo aveva investito con il piccolo patrimonio di riserva che gli aveva messo a disposizione la famiglia in un’operazione azionaria negli Stati Uniti che riguardava cento milioni di dollari di allora. Le azioni erano crollate, l’investimento era stato sbagliato e Gabetti enfatizzò questa cosa agli occhi della madre, agli occhi del padre di dicendo a questo qua non dobbiamo dargli una lira in mano. Al punto che sia Edoardo che Margherita ogni anno erano sottoposti a un’umiliazione tremenda. Pensate i figli dell’avvocato Agnelli che dovevano andare da un estraneo, da Gabetti, che li riceveva nel suo ufficio senza neanche alzarsi, a discutere il budget annuale delle loro spese, cioè quanto gli sarebbe stato pagato. Pensate all’umiliazione. Pensate alla vigliaccheria di Gianni Agnelli, che invece di affrontare i figli a viso aperto, delega a un altro la cura di questi aspetti, dell’argent de poche, mentre ci sono gli orecchini da 78 milioni di euro di Henry Winston di New York, che Marella portava ai suoi preziosi lobi, che adesso sono passati a Ginevra Elkann».

E poi c’è un particolare che tu hai accennato e che è sempre molto contestato. C’è una frase nei documenti della procura, uno scambio di mail su come distribuire l’eredità di Marella, e viene detto “e dei lingotti cosa facciamo?”. Nei documenti non c’è risposta a questo. Sono i famosi lingotti? 
«Allora, io mi sono sentito insultare in mille maniere sulla storia dei lingotti. Che non ho tirato fuori io, ma li hanno tirati fuori i Panama Papers, quello scandalo finanziario scoperto da quell’organizzazione internazionale di giornalisti che fa grandi inchieste. Nello studio Mossek Fonseca vennero anche trovati dei documenti che riguardavano i lingotti d’oro dell’avvocato Agnelli finiti a Marella. Questi lingotti oggi si trovano all’interno dei caveau blindati del deposito franco fuori dalla dogana di Cointrin, l’aeroporto di Ginevra, e sono stati trasferiti lì da Gianni Agnelli molti anni fa perché si trovavano a Basilea, dove li aveva messi il nonno. Margherita Agnelli con i suoi investigatori è arrivata vicino a questi lingotti. Non solo, ma c’era il capodelegazione di questi investigatori, che è un signore di Torino che è morto qualche anno fa e che si chiamava Cattro, Roberto Cattro. Io ho pubblicato per esempio un suo memoriale intitolato La Contessa del Lago. Guidò avvocati e investigatori e arrivò alla reception e alla direzione del deposito. Insistette, mostrando tutte le credenziali che dimostravano che era un procuratore speciale inviato da Margherita Agnelli, chiese di poter esaminare alcuni dei caveau di cui aveva il numero. Insistette talmente tanto che la direzione chiamò immediatamente la gendarmeria, che sorveglia quel deposito anche se contiene ovviamente degli oggetti e delle ricchezze sconfinate di dubbia provenienza, i soldi dei narcos americani e colombiani e quadri, lingotti d’oro e preziosi che arrivano ancora dagli ebrei deportati ai tempi del nazismo, diamanti del Sudafrica sporchi di sangue, finiti in mano ai trafficanti. Allora minacciarono di arrestare Catro e gli altri personaggi mandati da Margherita Agnelli, confermando in questo modo indirettamente che qualcosa c’era. Quindi i lingotti ci sono. Se gli Elkann vogliono fare le persone serie, ammettano limpidamente l’esistenza di questi lingotti. Io son convinto che attraverso una rogatoria tra le autorità italiane, tra la Procura di Torino e le autorità svizzere, non sia possibile arrivare a questi lingotti perché a tutte le rogatorie del passato su questo tema, non sui lingotti, sui soldi di Agnelli, le autorità giudiziarie svizzere hanno sempre risposto che si tratta di una indagine di evidente persecuzione di tipo fiscale. Quindi loro proteggono l’evasore fiscale straniero che va a portare denaro e beni».

E per la Svizzera non è una sorpresa.
«Non è una sorpresa. Quindi non c’è da affidarsi a questo e forse gli Elkann si basano su questo. Se si sono spartiti tutto quello che si sono spartiti, non parliamo solo delle quote della Dicembre, parliamo dei 781 milioni dei due trust alle Bahamas che la nonna aveva. Parliamo dei quadri che sono spariti da Villar Perosa, via XXIV Maggio a Roma, e da Villa Frescot, che figuravano negli elenchi di appartenenza di Margherita e tenuti in usufrutto da donna Marella fino alla morte. Parliamo della frase contenuta nella e-mail della signora Paola Montaldo».

Gigi ti ringrazio per essere stato qui con noi e ci sentiremo a presto, vediamo come prosegue questa dinastia, questa telenovela, se sarà come quella di William e Henry.
«Andrea, posso permettermi una cosa? Il 15 novembre ricorre il ventiquattresimo anniversario della morte - non parliamo di suicidio o di omicidio, diciamo l’unica cosa sicura, la morte - di Edoardo Agnelli. Io sfido la Real Casa a pubblicare tre righe sul loro giornale dove annunciano se c’è o non c’è una messa in suffragio della morte di Edoardo, a pubblicare un necrologio sul loro giornale che ricorda Edoardo e sfido il sito della Juventus a ricordare, in questi ventiquattro anni non l’ha mai fatto, la morte di Edoardo che in fondo era un consigliere di amministrazione della Juventus. Facciamo la scommessa che non faranno niente».

Edoardo avrebbe voluto esserne presidente, lui voleva fare molto per la Juve, Edoardo era anche negli spogliatoi della squadra la terribile notte dell’Heysel.
«E si oppose a che la partita venisse disputata, anche se gli avevano detto per ragioni di ordine pubblico andava disputata. Ed era per la restituzione della Coppa e per il rifacimento della partita. E lì ci fu il primo grosso scontro con Boniperti, allora presidente. Boniperti era uno che diceva quello che prendi nei trofei non devi restituirlo mai».

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