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Ritratti di Famiglia
09 Giugno 2024 - 10:00
Foto Tonino Di Marco
Avrebbe 70 anni, oggi, Edoardo Agnelli. E la domanda non può essere ignorata: se la sua vita non fosse terminata, nel 2000, sul greto di quel torrente sotto il viadotto della Torino-Savona, cosa avrebbe fatto della sua esistenza e della Fiat stessa? Perché Edoardo era sì il figlio ribelle, estraneo agli affari di famiglia, quello che diceva «magari in futuro a Mirafiori si faranno fiori anziché automobili», ma era l’erede designato, anche contro la sua stessa volontà. E non vedeva di buon occhio né il nipote John Elkann né gli amministratori storici dell’Avvocato. Una storia segreta, quella di Edoardo, che possiamo conoscere un po’ meglio.
Edoardo Agnelli con il padre e un giovanissimo John Elkann, appena entrato nel cda della Fiat (foto archivio Tonino Di Marco)
Era nato a New York il 9 giugno 1954. Liceo classico a Torino, al Massimo D’Azeglio, poi l’Atlantic College in Inghilterra e l’università di Princeton negli Stati Uniti, dove si laureò in filosofia e religioni. Prima grande ribellione: Gianni Agnelli era convinto che il figlio fosse iscritto a Economia.
Che rapporto complicato, tormentato quello con quel padre che ammirava, al quale scriveva lettere intestate «al signor Presidente della Fiat», oppure «caro Pappi», ma dal quale era ignorato. Perché l’Avvocato non lo capiva, persino lo temeva: «Rivedevo in lui - ebbe a dire una volta e lo riporta Jennifer Clark nel suo libro “L’ultima dinastia” - la malattia mentale di mio fratello Giorgio». L’altro eretico di famiglia, morto forse suicida - per precipitazione - in una clinica svizzera. O, secondo un'altra versione, un arresto cardiaco mentre veniva sottoposto alla "terapia del sonno" utilizzata nei casi di schizofrenia, assieme all'elettroshock.
Quando venne aperto il testamento di Gianni Agnelli, nelle sue volontà si citava ancora Edoardo, morto tre anni prima. L’Avvocato non lo aveva cambiato? Oppure ha ragione Margherita a sospettare qualcosa di sempre poco chiaro? Nella “lettera di Monaco”, quella scritta dall’Avvocato in clinica prima di un intervento al cuore, Agnelli scrive del gran rifiuto di Edoardo, che non ha voluto le quote della società Dicembre a lui destinate. Perché quella era la strategia dell’Avvocato e dei suoi consulenti: la cessione delle quote della cassaforte di famiglia serviva a congelare gli equilibri per il futuro, di modo che a comandare fosse uno solo, nel caso specifico l’allora giovanissimo John Elkann (si noti: Giovannino, figlio di Umberto, mancato per un tumore nel 1997, era designato alla guida della Fiat ma non della Famiglia).
«Il fatto è che io vedo le cose in maniera diversa dai miei cugini. A me non interessano i fondi di magazzino, sapere quante Uno sono rimaste invendute. Io so che bisogna tornare indietro per andare avanti. Io sono per un nuovo rinascimento» aveva detto nel 1990, all’epoca del suo arresto per droga in Kenya (storiaccia dalla quale sarebbe uscito pienamente assolto ma devastato). E confidava a pochi cronisti: «Si devono ricordare che sono sempre il figlio di Gianni Agnelli. E soprattutto che ho il 36 per cento delle azioni. Non sarà facile farmi fuori».
Quindi, l’idea di un Edoardo che rifiutava gli affari di famiglia va cancellata: lui aveva idee («molte delle cose che diceva mio zio si sono avverate» ha detto tempo fa Lapo Elkann), era ambientalista ante litteram, parlava di mettere l’uomo al centro della fabbrica. Concetti che, con le dovute distanze, capita anche di trovare nei discorsi di Carlos Tavares, il ceo di Stellantis. Riteneva che il capitalismo era sorpassato e sarebbe presto finito. E al giornalista Pino Scaccia Edoardo diceva «La Fiat è in mano ai manager. Bravi ma non guardano molto avanti. Con la politica dell’oggi rischiano di rovinare tutto. Giovanni (Giovanni Alberto, figlio di Umberto, ndr) è molto bravo, sta facendo un ottimo lavoro alla Piaggio. Quando i nostri genitori decideranno di lasciare saremo noi a portare avanti l’azienda, ognuno con le sue responsabilità e le proprie predisposizioni».
Eppure stava ai margini, tra i drammi dell’eroina, l’isolamento a Villa Bona e la tutela imposta dalla Famiglia («mamma mi nega i diritti costituzionali», ossia di lavorare e provvedere alle proprie finanze, annota in una lettera), con pensieri e idee che diventano sempre più bizzarri, strampalati. Scrive al padre perché non può neppure telefonargli direttamente: Gianni non gli dà il numero, lo obbliga a passare dal centralino e dal fedele maggiordomo. Eppure una volta irrompe nel suo ufficio e, davanti a ospiti, lo accusa con violenza: «Neppure questo hai avuto il coraggio di dirmi». Pochi avevano l’ardire di fare cose simili all’Avvocato. A farlo infuriare, la vicepresidenza della Juve a Luca Cordero di Montezemolo (disastrosa sul piano sportivo, era l’epoca Maifredi), che da tifoso e innamorato del calcio, con una visione diversa, lui bramava, come dimostra una celebre intervista in cui auspicava che Boniperti si facesse da parte che rifiutò di smentire anche davanti al padre.
Aveva coraggio Edoardo, pativa il disprezzo o la lontananza del padre. Nel marzo del 1995 scrive al «caro Pappi», dopo una curiosa lite su un investimento - per conto di una donna - andato male, cento milioni di lire persi per colpa di un faccendiere americano: «Vedi Pappi qualsiasi la ragione non è ammissibile entrare in casa così e dare del criminale a vanvera e usare quella ferocia. Insomma stavo lavorando nel piccolo o grande che sia. Abbiamo un mondo e un paese pieno di problemi si cerca di fare quello che si può cerco equilibrio e serenità per esser oggettivo nel mio lavoro e tu cosa fai? Sfasci tutto. Sporchi tutto. Offendi gratuitamente. Ceronetti oggi sulla Stampa disse “Qualsiasi cosa di male ti facciano i tuoi genitori non riesci a odiarli perché son sempre i tuoi”. E’ vero. Perciò non farlo più per favore. Non puoi sistematicamente rovinare il lavoro che uno cerca di fare anche perché ce n’è bisogno di questo onesto lavoro come d’altronde del lavoro di tutti!».
Quando aveva chiesto di poter avere un conto corrente proprio - lui godeva di un mensile dalla Famiglia - gli era stato detto di farsi aiutare da Gianluigi Gabetti, che a sua volta gli aveva proposto una struttura di amministrazione e imposto la doppia firma, nello specifico la sua o quella dei genitori. Un grande affronto, tanto che Edoardo scrive indignato al padre. E lascia un paio di considerazioni (dopo avergli detto una volta «Dobbiamo parlare della Dicembre») che oggi, nel pieno della guerra per l’eredità di sua sorella Margherita contro i figli Elkann, suona di straordinaria e profetica rilevanza: «Che si dica le balle a me è pessimo ma che si dica anche le balle a Margherita no. Così gentilmente ma fermamente mandai Gianluigi a quel paese per il momento per un comportamento non consono. Vedi Pappi rimane infatti il problema se si fa una cosa giusta per la famiglia a pianificare domani un amministratore per Margherita e me che ti dice sistematicamente le balle».
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