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Economia & Personaggi
20 Aprile 2025 - 08:40
Dal cuore delle Langhe al mondo, la famiglia Ferrero ha costruito un impero dolciario capace di conquistare anche l'immaginario collettivo partendo da Alba. Dietro ogni barattolo di Nutella e ogni ovetto Kinder si cela una storia di rigore, lavoro silenzioso e successioni familiari calibrate con cura quasi artigianale. Tra tutti i passaggi di testimone che hanno segnato la vita dell’azienda, la morte improvvisa di Pietro Ferrero Jr. nel 2011 è stato il momento più drammatico e, al contempo, il più determinante per il futuro del gruppo.
Primogenito di Michele Ferrero e Franca Fissolo, Pietro (1963–2011) era considerato da molti osservatori il naturale erede del padre. Laureato in Biologia a Torino, dopo aver frequentato le scuole superiori a Bruxelles dove la famiglia viveva (e il fratello Giovanni ancora oggi risiede lì), aveva scelto di crescere dentro l’azienda, partendo dai reparti di produzione fino ad affiancare il fratello Giovanni nella guida del gruppo. Dal 1997, i due gestivano insieme la Ferrero con ruoli complementari: Pietro seguiva l’area industriale, le fabbriche, la logistica e i rapporti con i lavoratori; Giovanni si occupava della strategia globale, del marketing e dell’innovazione.
Quella dei due fratelli, entrambi amministratori delegati per volontà del padre, era una co-gestione rara e ben funzionante, ammirata anche dalla stampa economica italiana (Il Sole 24 Ore e Corriere Economia l’avevano definita “modello di equilibrio imprenditoriale familiare”).
Durante una missione aziendale in Sudafrica per esplorare nuovi mercati, Pietro Ferrero muore all’età di 47 anni, stroncato da un infarto mentre era in bicicletta nei dintorni di Città del Capo. Pietro era infatti un grande appassionato di ciclismo, che aveva praticato anche a livello agonistico. La notizia, diffusa dalle agenzie internazionali e ripresa subito dai quotidiani italiani, colpisce profondamente non solo la famiglia Ferrero, ma anche l’intero tessuto industriale italiano. In poche ore si moltiplicano i messaggi di cordoglio, ma anche le domande sul futuro della Ferrero.
Nel rispetto dello stile che da sempre contraddistingue la famiglia, la Ferrero sceglie il silenzio e la sobrietà. Un comunicato essenziale, pubblicato sul sito del gruppo, parla di una “perdita profonda”. Il lutto è personale, ma anche aziendale: Pietro era il volto meno visibile, ma forse il più determinante del duo imprenditoriale.
Secondo un’inchiesta de Il Sole 24 Ore pubblicata pochi giorni dopo, il progetto di espansione industriale in Sudafrica — che Pietro stava seguendo — fu immediatamente sospeso. Era un’area ad alto potenziale, ma senza di lui la priorità divenne la tenuta del gruppo.
Dopo la morte del fratello, Giovanni Ferrero resta unico amministratore delegato. Gli analisti si interrogano: continuerà il modello familiare o aprirà all’esterno? Come ha raccontato lo stesso Giovanni in una rara intervista al Financial Times nel 2018, l’ipotesi di una quotazione in Borsa o di cessione a fondi esteri non è mai stata presa in considerazione.
Al contrario, Giovanni dà inizio a una fase di trasformazione profonda, mantenendo il controllo familiare ma affiancandosi a manager esterni, specialmente nelle sedi internazionali. La Ferrero inizia così una serie di acquisizioni strategiche:
Thorntons (Regno Unito) – 2015
Fannie May (USA) – 2017
Nestlé Confectionery USA – 2018 (2,8 miliardi di dollari)
Eat Natural (UK) – 2020
Fonti come Forbes, Bloomberg e BBC News confermano che queste mosse hanno consolidato Ferrero come il terzo gruppo dolciario al mondo per fatturato, superando anche rivali storici europei.
Nell’aprile 2011, il Gruppo Ferrero era già un colosso consolidato dell’industria dolciaria mondiale. Secondo Il Sole 24 Ore, in quell’anno il fatturato del gruppo superava i 6,6 miliardi di euro, con oltre 21.000 dipendenti e una presenza commerciale in oltre 100 Paesi. La strategia di espansione internazionale era già ben avviata, ma la gestione era ancora in gran parte familiare e molto radicata al territorio piemontese.
L’azienda, pur presente sui principali mercati mondiali, manteneva uno stile discreto e lontano dai riflettori, con l’80% del fatturato derivante da marchi storici come Nutella, Kinder, Ferrero Rocher, Tic Tac e Mon Chéri.
Dopo la morte di Pietro e il pieno subentro di Giovanni Ferrero, l’azienda ha vissuto una trasformazione profonda e misurabile anche nei numeri. Oggi, secondo il bilancio consolidato 2022-2023 di Ferrero International S.A. (la holding con sede in Lussemburgo), il gruppo:
ha raggiunto un fatturato di 17 miliardi di euro (dato aggiornato a fine agosto 2023);
conta oltre 47.000 dipendenti;
opera in 170 Paesi;
controlla più di 100 marchi, tra acquisizioni e nuove linee di prodotto.
Secondo Forbes, Giovanni Ferrero è oggi l’uomo più ricco d’Italia, con un patrimonio personale stimato in oltre 40 miliardi di dollari, grazie al valore crescente dell’azienda che controlla interamente tramite holding familiari.
Le acquisizioni strategiche realizzate dopo il 2015 (come Nestlé USA, Eat Natural, Fannie May, Ferrara Candy Company) hanno accelerato l’espansione del gruppo in Nord America e in Asia, portando Ferrero ad essere il terzo gruppo dolciario al mondo, dopo Mars e Mondelez.
Il confronto tra i dati del 2011 e quelli odierni dimostra quanto la Ferrero sia cambiata pur rimanendo fedele a sé stessa. In 12 anni, il fatturato è quasi triplicato, la presenza internazionale si è consolidata e il gruppo è diventato uno dei simboli del “Made in Italy” nel mondo, pur con una governance fortemente internazionalizzata.
Ma il motore di questa crescita, come riconoscono numerosi osservatori economici (Harvard Business Review, Il Sole 24 Ore, Bloomberg), è proprio quell’eredità invisibile lasciata da Pietro Ferrero: una cultura aziendale che ha fatto della Ferrero non solo un’azienda di successo, ma anche per la sua assenza dalle Borse un caso unico nel panorama dell’imprenditoria familiare europea.
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