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IL FATTO
26 Aprile 2025 - 18:33
Le urla fuori, la musica dalle casse. Sono una sessantina, fuori dal Cpr di corso Brunelleschi: lo avevano annunciato nelle scorse settimane, un presidio di solidarietà verso i detenuti del Centro di zona San Paolo. Una protesta che appare da subito confusa e, a tratti, disorganizzata: come se gli stessi promotori non avessero un vero e proprio piano sullo svolgersi del pomeriggio. Si avvicinano al muro, restando però dall’altro lato della strada: di fronte a loro una ventina di agenti della polizia schierati con caschi e scudi, pronti a un eventuale contatto.
Ma i manifestanti alzano le racchette e cominciano a cercare di tirare delle palline da tennis oltre il muro. Ci vorranno diversi tiri prima che il tentativo di superare l’alto muro vada in atto. Palline da tennis bucate, che dentro contengono un foglietto che riporta un numero di telefono cellulare, il loro, quello dei manifestanti: cercano di fare arrivare all’interno il contenuto per poter entrare in contatto con i ristretti che si trovano rinchiusi all’interno della struttura.
Corso Brunelleschi viene chiuso dal lato di via Monginevro e anche da quello di via Santa Maria Mazzarello. Le forze dell’ordine sono schierate anche nei dintorni: lungo le mura del Centro diversi mezzi, auto e camionette, di polizia e carabinieri, tra cui un idrante. A supporto anche la polizia locale con motoveicoli e auto. I manifestanti cominciano sparare prima un petardo che fa un rumore assordante, poi i fuochi d’artificio in aria e pochi fumogeni color arancione. Un paio di antagonisti si arrampicano velocemente su un traliccio dell’elettricità posto all’angolo tra via Monginevro e corso Brunelleschi per parlare al megafono. Ripetono il numero di telefono contenuto all’interno delle palline da tennis che poco prima avevano lanciato dentro. Insultano poliziotti, giornalisti e lavoratori di Sanitalia, la coopererativa che ha preso l’appalto di gestione del Cpr. Intanto arriva qualche manifestante in più, dopo un’ora dalla manifestazione però gli antagonisti sono ancora meno di cento, troppi pochi rispetto alle forze dell’ordine presenti. Una fase di stallo che dura qualche minuto, poi sparano altri fuochi d’artificio.
Intanto, cercano di comunicare con i detenuti, tra inglese, marocchino, italiano: da dentro, i ristretti rispondono con urla poco comprensibili. Molti di loro, probabilmente, nemmeno hanno capito cosa sta succedendo là fuori da quelle alte mura di cemento che li separano dal “mondo dei liberi”. Il disagio del pomeriggio, alla fine dei conti, riguarda il traffico bloccato alle auto e ai motorini che si sono ritrovati a dover fare un giro immenso a causa delle deviazioni. Mezzi pubblici idem, come annuncia Gtt con un messaggio su Telegram. Anche il giorno prima, 25 aprile, un gruppo del Gabrio - e alcuni simpatizzanti della stessa parrocchia - avevano raggiunto il Cpr in sella alle loro biciclette “per salutare” i reclusi. Anche in quel caso, disagio alla viabilità. E chissà se gli stessi manifestanti “botti e cori” si siano mai chiesti se quel modo “rumoroso” di protestare sia realmente percepito come solidale dai detenuti o, magari, porti ancora più frustrazione tra quelle mura di cemento. Al termine del presidio, un 19enne detenuto comunica al telefono di stare male: i manifestanti chiamano i 118 e, dopo una lunga trattativa con l’ente gestore, il ragazzo viene scortato dalla celere in ospedale.
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