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IL CASO
24 Giugno 2025 - 12:00
Ha raccontato ad amici e conoscenti di voler “realizzare qualcosa” che lo avrebbe reso importante agli occhi del mondo. Quel qualcosa, secondo la Procura di Torino, avrebbe dovuto servire la causa dell’Isis. Per questo motivo Halili Elmahdi, 30 anni, marocchino naturalizzato italiano, è imputato con l’accusa di partecipazione ad associazione terroristica internazionale. Nei giorni scorsi, al termine della requisitoria, il pubblico ministero Davide Pretti ha chiesto per lui una condanna a cinque anni di reclusione. L’indagine, condotta dalla Digos, si è sviluppata negli anni a partire da materiale ritenuto inequivocabile: contenuti di propaganda, messaggi diffusi online, testi in italiano di ideologia jihadista. Tra questi anche il documento intitolato "Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare", che gli investigatori attribuiscono proprio a Halili e che viene definito «il primo documento organico redatto in lingua italiana di propaganda dell’ideologia estremistica musulmana fatta propria dall’organizzazione terroristica Stato Islamico». Halili era già stato arrestato in passato, nel 2015 e nel 2018, sempre per reati legati alla diffusione di contenuti estremisti. All’epoca viveva con la famiglia a Lanzo, nel Torinese. Durante una perquisizione, gli agenti trovarono nella sua abitazione istruzioni su come costruire ordigni rudimentali, utilizzare armi bianche e allestire camion bomba. Nei dispositivi elettronici erano conservati video e sermoni, tra cui uno di Anwar al-Awlaki, soprannominato “il Bin Laden di internet”, che Halili avrebbe condiviso online ottenendo decine di visualizzazioni in poche ore. Secondo l’accusa, anche dopo la scarcerazione – avvenuta nel 2023 – avrebbe ripreso a fare proselitismo. Dormiva su una panchina al parco, viveva da senzatetto, ma continuava ad attivarsi in rete. Chat private, profili Facebook, contatti con cittadini italiani “disposti ad abbracciare le sue idee”. Lo stesso schema già riscontrato nelle indagini del passato. Le sue ricerche online – come accertato dagli inquirenti – venivano effettuate anche da un phone center di corso Giulio Cesare, dove avrebbe visionato video di propaganda ufficiale dell’Isis e materiali che promuovevano decapitazioni, attentati suicidi e mutilazioni. Tra i fatti contestati, anche un’aggressione a un imam accusato da Halili di essere “ipocrita” per non incitare i fedeli a combattere contro Israele, e comportamenti violenti durante un controllo di polizia. L’imputato ha sempre negato ogni coinvolgimento in attività terroristiche. Davanti ai giudici ha sostenuto di essersi limitato a condividere contenuti trovati online, senza alcun legame diretto con gruppi estremisti. Quanto alla frase riferita agli amici – quel «realizzare qualcosa» – l’ha definita una millanteria, nulla più. La procura è di tutt’altro avviso. Per gli inquirenti, Halili Elmahdi resta un soggetto capace di radicalizzare e influenzare, e rappresenta una minaccia concreta. La parola passa ora al giudice Benedetta Mastri, che dovrà esprimersi sulla richiesta di condanna.
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