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Il caso
30 Luglio 2025 - 17:50
In un momento cruciale per il futuro di Iveco Group, crescono le preoccupazioni tra i lavoratori e le rappresentanze sindacali, che temono ripercussioni sull’occupazione e sulla continuità industriale. La notizia della vendita dell’azienda e di sue parti strategiche ha messo in crisi non solo la parte produttiva, ma il lato identitario piemontese che costituisce l'azienda. A lanciare l’allarme è stato l’ingegnere Fabrizio Amante, responsabile provinciale dell’Aqcf-r (Associazione Quadri e Capi Fiat – Rappresentanti), con un messaggio diretto: «Iveco non è solo un marchio o una fabbrica. È un pezzo della storia industriale italiana, un’eccellenza del Made in Italy e un patrimonio che va tutelato con visione e responsabilità».
Infatti è proprio in Italia – e più precisamente nel torinese – che il marchio affonda le sue radici: oltre 14mila persone lavorano per Iveco nel Paese, di cui circa 7mila solo nell’area di Torino. Tecnici, ingegneri, operai specializzati, figure professionali impegnate nella ricerca, nello sviluppo, nella sostenibilità e nella transizione tecnologica. Nel comunicato diffuso da Aqcf-r, si evidenzia come Iveco abbia generato valore economico, competenze e innovazione nel corso dei decenni, contribuendo allo sviluppo di interi comparti industriali. «Il nostro personale è altamente qualificato, motivato, radicato in azienda. È questo capitale umano che va salvaguardato, soprattutto ora che si parla di una possibile acquisizione», afferma Amante. L’appello ai potenziali acquirenti è chiaro: «Chiunque si candidi a guidare Iveco in futuro dovrà valorizzare le competenze esistenti e utilizzare questa solida base come punto di partenza per lo sviluppo del business non solo in Italia, ma in tutta Europa e nel mondo».
Questi movimenti alimentano il timore che una cessione senza garanzie occupazionali e industriali possa minare l’integrità del gruppo e il legame con il territorio. Per questo, le rappresentanze sindacali chiedono trasparenza e coinvolgimento, sollecitando anche le istituzioni – dal governo al parlamento – a vigilare sulle trattative finali.
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