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Il commento

Addio Iveco Bella

Ecco perché quello degli Elkann è un tradimento verso l'Italia

Addio Iveco Bella

C’era una volta l’industria italiana, un patrimonio fatto di uomini, idee, ricerca e soprattutto di orgoglio nazionale. Oggi, con l'annuncio ufficiale della vendita di Iveco da parte di Exor, holding finanziaria degli Elkann, al colosso indiano Tata e la cessione della divisione Difesa alla Leonardo, assistiamo all'ennesimo atto di un lento e amaro epilogo industriale italiano. Una parabola discendente di cui il protagonista principale, John Elkann, si conferma drammaticamente più curatore fallimentare che imprenditore illuminato.

Iveco, azienda nata nel 1975 come cuore pulsante della Fiat Veicoli Industriali nello storico stabilimento di Fiat Stura, era simbolo di innovazione e orgoglio italiano nel mondo. Qui risiedeva il cervello della multinazionale italiana dei camion, il centro propulsore di ricerca, sviluppo e ingegneria che proiettava Torino al centro della scena internazionale. Oggi, con la cessione a Tata, si rischia di trasformare Iveco, nel migliore dei casi, in una fabbrica cacciavite, svuotata di contenuti, idee e soprattutto di identità nazionale.

Questa vendita segna l’ultima tappa di un percorso di dismissioni avviato dalla dinastia Agnelli sotto la guida finanziaria e poco industriale degli Elkann. Negli ultimi decenni, Exor si è rivelata più interessata alla finanza speculativa che alla tutela del patrimonio industriale italiano, smantellando pezzo dopo pezzo quell’impero costruito con fatica, coraggio e visione lungimirante da Giovanni Agnelli, il fondatore, e portato avanti con energia fino agli anni Ottanta.

In questo triste quadro non c’è solo Iveco. Fiat stessa, simbolo di una Torino industriale e operaia, è ormai ridotta a un’appendice del colosso Stellantis, con centro decisionale lontano dai confini nazionali, tra Amsterdam e Parigi. Si aggiungano Magneti Marelli passata ai giapponesi di Calsonic Kansei e la stessa Ilva di Taranto, consegnata nelle mani della multinazionale franco-indiana ArcelorMittal, con risultati a dir poco devastanti per l’occupazione e il tessuto produttivo del Sud Italia.

La verità è che gli Elkann, con John in prima linea, sembrano avere abbandonato del tutto la dimensione industriale, preferendo giocare in borsa, accumulando plusvalenze, disinteressandosi delle sorti di decine di migliaia di lavoratori e delle comunità che dipendono da queste grandi aziende. John Elkann, erede di un impero costruito con sudore, ingegno e visione industriale, oggi appare più come un commissario liquidatore, intento a vendere tutto ciò che può fruttare rapidamente, senza alcuna strategia di lungo periodo e senza alcuna cura per il valore nazionale delle aziende cedute.

La vendita di Iveco agli indiani di Tata e la cessione della parte Difesa a Leonardo, azienda di stato, non fanno altro che certificare il definitivo tramonto dell’industria italiana dei veicoli pesanti, un settore cruciale per la nostra economia e strategico dal punto di vista geopolitico. Iveco rischia così di diventare un marchio svuotato, un semplice logo sotto cui assemblare componenti progettate altrove, impoverendo ulteriormente il tessuto industriale nazionale.

Riflettendo sulla storia di Fiat Stura, viene spontaneo ricordare gli anni gloriosi, quando da quei capannoni uscivano veicoli simbolo di forza e affidabilità, frutto di ingegno italiano, ammirati in Europa e nel mondo. Quel patrimonio è stato lentamente smantellato, pezzo dopo pezzo, venduto a investitori stranieri per i quali l’interesse nazionale italiano non è mai stato, né mai sarà, una priorità.

È un tradimento, quello consumato da John Elkann e dagli eredi Agnelli, non solo verso la storia di famiglia, ma soprattutto verso il Paese che ha permesso loro di crescere e prosperare. Oggi Iveco diventa l’emblema triste e finale di questo percorso, simbolo di un’Italia incapace di proteggere il proprio patrimonio industriale, di investire nel futuro e di difendere la propria sovranità economica.

Di fronte a questa ennesima dismissione, resta l’amara constatazione che il capitalismo finanziario, guidato da figure come Elkann, non porta sviluppo, non crea occupazione stabile e di qualità, ma smonta e vende, sacrifica e disperde. E mentre Iveco prende il largo verso l’India, con la testa chissà dove, noi restiamo qui, impotenti spettatori della svendita di un pezzo importante della nostra storia industriale.

Addio Iveco Bella, addio a un altro pezzo di Italia.

 

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