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Urbano Cairo, l’editore che ha “privatizzato” il cuore granata

Il presidente del Torino tra plusvalenze e mediocrità, il business prima dei sogni dei tifosi

Urbano Cairo, l’editore che ha “privatizzato” il cuore granata

Cairo libera il Toro non è solo uno slogan che campeggia sugli striscioni allo stadio o sugli adesivi (talvolta di dubbio gusto) comparsi persino a Bardonecchia, ma il grido di dolore di una tifoseria stanca di vedere il proprio club storico trasformato in un’azienda da redditività garantita. Da quando Urbano Cairoha acquistato il Torino FC, il mantra è diventato chiaro: zero ambizione, gestione ragionieristica, galleggiamento garantito nella comfort zone di metà classifica. E guai a immaginare un salto di qualità verso l’Europa: costa.

Le accuse mosse dai tifosi granata sono precise, durissime e – per loro – fondate. Il presidente editore, più incline al dividendo che al diritto di sognare, ha tramutato il Toro in una catena di montaggio: acquistare calciatori emergenti, vederli brillare in maglia granata e poi rivenderli al miglior offerente, lucrando senza vergogna. Il destino toccato a Ricci, Bellanova e MilinkovicSavic, temono tutti,  a un futuribile addio del prossimo emergente rappresenta il copione ormai collaudato dell’era Cairo: compri a poco, rivendi a tanto, ringrazi ed incassi. Chi sperava in un ciclo vincente è rimasto con il rimpianto tra le mani e un abbonamento che sa di autoflagellazione. Il paradosso è tutto qui: una società solida, senza debiti, ma incapace di alimentare la passione granata. I tifosi non chiedono follie da sceicchi, ma almeno un progetto, un obiettivo europeo, un segnale che il Toro non è condannato a vivacchiare. Invece la sensazione è che Cairo si accontenti; anzi, che galleggiare comodamente tra l’ottavo e undicesimo posto sia il vero, unico traguardo.

Le frange più accese della curva Maratona non lo perdonano: contestazioni ad ogni occasione, cori ironici, manifesti sarcastici, fino all’adesivo (nerissimo) immortalato sulle Alpi: “Sei il mio primo pensiero quando mi dicono: sai chi è morto oggi?” accostato alla foto del patron. Un livello di esasperazione che racconta più di mille editoriali. Il rapporto è ai minimi storici, e l’idea che Cairo venda il club non è più una speranza, ma un’istanza pressante. E mentre le sue televisioni (La7 in testa) si distinguono per un orientamento politico ben noto – sinistra da talk show, antigovernativismo permanente – lui al Toro applica una linea opposta: conservatore, moderato, attendista. Il risultato? Una squadrasospesa in un limbo eterno, troppo forte per retrocedere, troppo poco costosa per sognare.                  

Ora tutti attendono il verdetto del campo: i nuovi acquisti basteranno a tacitare, almeno per qualche mese, la contestazione? O assisteremo all’ennesimo déjà-vu, fatto di proclami minimalisti, bilanci in ordine e un Torino che a marzo ha già finito la stagione? Se il destino è scritto nei conti, per i tifosi la sentenza è chiara: al Toro serve una nuova proprietà. Uno che non calcoli dividendi, ma gol, gloria e memoria.

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