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Sanità

Boom di baby bevitrici, i genitori minimizzano: «Lo facevamo tutti»

La parola di esperti che da anni si occupano di abuso di alcolici, sia tra adolescenti che adulti. La ricerca dello “sballo” spasmodico cova spesso famiglie disfunzionali

La sfida del 'Dry January': un mese senza alcol per ripartire dopo le feste

Immagine di repertorio

L’Istituto Superiore di Sanità lo ha ribadito anche quest’anno: «I dati sconfortanti sul consumo di alcol tra giovani e minori, dimostrano la costante assenza d’interventi». In parole povere: non si fa abbastanza e le leggi non vengono rispettate. Nel rapporto annuale emanato lo scorso aprile dall’Iss, il target giovanile «alcohol-free» viene considerato un «obiettivo negletto» dalle strategie nazionali di prevenzione e dai piani regionali da rinnovare urgentemente.

Ma il dato ancora più allarmante è la quota di giovani ragazze che consumano alcolici. Dal 2013 è cresciuto del 27% il consumo di aperitivi alcolici e del 29% quello di vino nella fascia 11-24. E se si passa ai giovani «binge drinkers», cioè ai ragazzi che assumono più bevande alcoliche in un intervallo di tempo breve, nella fascia di età 11-17, le adolescenti superano i loro coetanei (2,1% vs 1,7%).

Un vero e proprio allarme per gli «addetti ai lavori». Come conferma il dottor Flavio Vischia, psichiatra di lungo corso presso il centro Onda 1: servizio della Struttura Semplice Dipartimentale Nuove Dipendenze dell’Asl Città di Torino che si rivolge ad adolescenti e giovani fino ai 25 anni che usano, abusano o sono dipendenti da sostanze.

«Negli ultimi anni la crescita degli accessi al nostro servizio è stata sensibile. La percezione del rischio per un giovane adolescente è per definizione molto falsata. Ma il vero problema è che spesso le conseguenze vengono minimizzate anche dagli adulti. Da una cultura del “bere sociale”». Dilaga di pari passo l’utilizzo di psicofarmaci senza prescrizioni: «Spesso ci dicono che li rubano alle nonne», racconta Vischia.

Cosa incide maggiormente? I fattori, ovviamente, sono numerosissimi, ma riguardano soprattutto il contesto familiare. «Nei nostri centri ci sono sempre delle famiglie disfunzionali dal punto di vista relazionale. È un fenomeno sociale. Dove i genitori non sono così presenti».

E accade anche che, messi davanti al fatto compiuto dal proprio figlio o figlia, mamme e papà chiudano più di un occhio. «Ragazzate», «Lo abbiamo fatto tutti». Proprio questa sottovalutazione del fenomeno sarebbe particolarmente insidiosa.

«Dietro servono famiglie in grado di capire che quello dell’alcool è un problema. Non basta dire “Non dovete bere”, bisogna anche spiegare loro cosa succede quando lo si fa così giovani», racconta invece la dottoressa Ivana De Micheli, presidente dell’Associazione dei Club Alcologici in Trattamento di Torino. De Micheli oggi coordina ben sei centri alcologici cittadini tra Asl Torino, Città della Salute, To3 e ospedale Mauriziano. «Il problema è la ricerca dello “sballo”, che porta a bere in modo spasmodico. Tra le ragazzine il fenomeno cresce perché “si vuole dimostrare qualcosa”», dice De Micheli.

In ottica di prevenzione, infatti, sei anni fa era nato il programma «Corretti stili di vita» al liceo Cavour. «Tutti gli anni per una settimana affrontiamo il tema. La risposta è stata molto buona. Sarebbe un modello che ci auspichiamo di esportare altrove, ma servono risorse», è l’appello della presidente.

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