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15 Settembre 2025 - 07:16
Stipendi e inflazione: ecco come siamo diventati più poveri in 10 anni
Alzi la mano chi negli ultimi tempi è andato a fare la spesa ed è uscito dal supermercato con la netta impressione di aver speso molto di più di qualche tempo fa. Siete in tanti vero? Bene, sappiate che non è solo una vostra impressione ma il problema in realtà è doppio: se da un lato infatti i prezzi negli ultimi anni sono davvero in costante ascesa, dall’altro gli stipendi salgono ma molto più lentamente dei prezzi. Una combinazione di fattori devastante per i portafogli degli italiani, sempre più svuotati dalla perdita di potere d’acquisto. E così, anche se in busta paga arriva un aumento, arrivare a fine mese è sempre più complicato. Il Geography Index dell’Osservatorio JobPricing, report che analizza le retribuzioni dei dipendenti del settore privato, segnala che in Italia nell’ultimo decennio la “forbice” tra inflazione e aumenti degli stipendi ha raggiunto addirittura l’11,3%. Cosa significa? Facciamo un esempio. Ipotizziamo che nel 2015 la nostra busta paga fosse di mille euro netti. Poi “fissiamo” i prezzi, pensando che dal 2015 a oggi non ci sia stato nessun cambiamento e fare la spesa ci costi esattamente come dieci anni fa. La differenza è nello stipendio: oggi non guadagneremmo più mille euro ma solo 887, pari all’11,3% in meno. Ed ecco spiegata quella sensazione di essere più poveri oggi di 10 anni fa anche a fronte di uno stipendio aumentato. Un guaio “figlio” della maxi inflazione causata prima dalla pandemia e poi, soprattutto, dalla guerra in Ucraina e dal problema invece tutto italiano degli stipendi che non salgono come dovrebbero, tra contratti di lavoro collettivi scaduti da anni e mai rinnovati, giovani (e non solo) precari e forme di assunzione “fantasiose”. L’osservatorio scende poi nei dettagli, analizzando anche l’andamento a livello regionale e provinciale. E qui arriva l’unica piccola consolazione per torinesi e piemontesi: se noi non stiamo bene, nel resto d’Italia c’è chi sta molto peggio di noi. In Piemonte infatti la forbice tra stipendi e inflazione si ferma al 7,4% mentre il dato peggiore lo si registra in Veneto, dove arriva addirittura al 16,5%. Seguono Umbria (14,9%), Friuli Venezia Giulia e Sicilia (13,6%). I più “fortunati” sono i residenti di Marche (2,9%), Basilicata (2,8%) e Molise dove si raggiunge la quasi parità: 0,2%. E Torino? Il dato sotto la Mole, liberi di non crederci, è tra i migliori d’Italia. La forbice in città infatti è “solo” del 5,9%, percentuale che ci piazza al settimo posto della classifica dei 40 maggiori capoluoghi di provincia. Meglio di noi fanno solo Reggio Calabria, Campobasso (le uniche due che hanno saldo positivo), Potenza, Como, Caserta e Ancona. Le altre piemontesi? Alessandria è al 19° posto (11%) e Cuneo al 22° (11,7%). La peggiore d’Italia è Bolzano, che supera addirittura il 20%, seguita da Verona e Genova.
Ovviamente, come sempre, a farne le spese sono prima di tutto i più deboli. Le famiglie che hanno minori capacità di spesa, soprattutto i nuclei numerosi alle prese con stipendi bassi, contratti da precari o monoreddito. E del resto l’aumento spropositato dei prezzi al dettaglio dall’epoca pre-Covid (e pre-guerra) è stato certificato proprio di recente anche dall’Istat che ha segnalato il boom dei prezzi dei beni alimentari (cibo e bevande non alcoliche) arrivato al 30,1% nel luglio 2025 rispetto al livello medio del 2019. Un’inflazione alle stelle che se gli stipendi non riprenderanno a salire in fretta è difficilmente affrontabile, visto che oltretutto va a colpire beni che non solo non sono di lusso ma a cui non si può proprio rinunciare: certo, si può forse sostituire il salmone con il tonno ma alla fine qualcosa in tavola bisogna comunque metterlo. Senza pensare alle bollette di gas e corrente elettrica, letteralmente impazzite dal giorno dell’invasione dell’Ucraina a opera della Russia.
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