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Cannonate nel mondo della cultura
21 Ottobre 2025 - 19:40
Volete il ministero della Cultura nel Salone del Libro? Allora ricompratevelo. Si può dire che la tocca piano Silvio Viale, presidente dell’associazione Torino Città del Libro che è la proprietaria del Salone. «Una precisazione» la definisce lui, alle parole nel neoconfermato presidente del Circolo dei Lettori, Giulio Biino. Ma quando si parla di Salone del Libro, certe precisazioni felpate sono l’equivalente di cannonate.
La questione del ministero nella governance nel Salone del Libro è roba datata da mesi. Giulio Biino - ma non solo - ci terrebbe particolarmente, anzi appena confermato alla guida del circolo di via Bogino ha annunciato, sui giornali amici, di volersi mettere al lavoro per cucire i rapporti necessari a ottenere questa rivoluzione. Secondo lui, la presenza del ministero darebbe la spinta per nuove iniziative, per arrivare anche alla creazione di un Festival dell’Editoria a Torino, nuove campagne di sostegno alla lettura e via dicendo... Ma il ministero porterebbe soldi? E quanti? Questo Biino non lo sa. Ma imporrebbe scelte dall’alto, come temono i critici, viste le “risse” a ogni scelta di direttore editoriale? «Non ci sarà nessun caso Beatrice Venezi a Torino» giura lui.
Fatto sta che, prima che la politica nostrana - il governatore Cirio e il sindaco Lo Russo sono “decisori” pubblici per il Salone - si scateni, ci pensa Silvio Viale. Che in una nota dapprima concorda con Biino sulla necessità di rilanciare la lettura in un Paesi in cui i dati degli editori piangono miseria. Ma avverte: il Salone è privato.
Sì, perché Viale e soci, che ne erano fornitori, lo rilevarono a spese loro ai tempi del fallimento della Fondazione per la cultura. «Pur svolgendo una missione pubblica - dice Viale - il Salone è di proprietà privata. Dal 2019, grazie ai rapporti con gli enti pubblici, le fondazioni bancarie siamo riusciti a rendere il Salone uno degli eventi più rilevanti a livello europeo».
Dunque, avverte, se si vuole «modificare la governance, lo si potrebbe fare solo con una manifestazione di riacquisto del Salone», ovviamente a un prezzo che non solo risarcisca, ma rappresenti un guadagno, «un riconoscimento», per gli attuali proprietari. «Al momento non mi pare però all’ordine del giorno. E in ogni caso ne dovrei discutere con i miei azionisti».
A suo tempo il ministro Giuli non aveva escluso un ingresso del Mic, offrendo un raddoppio dei fondi già stanziati. Di traverso, allora, si era messo Lo Russo.
La partita vera, in realtà, non è di chi deciderà linee editoriali (o persino trasferimenti romani) o ospiti, ché tanto per vendere bisognerà chiamare i soliti dal romance ad Al Bano: la partita vera è il Lingotto stesso, ossia una sede completamente inadatta ormai. Ma per rilevarla, Biino crede a una società mista pubblico-privato, dunque con la possibilità di far entrare il ministero. E chi altro? La Regione con il Circolo e i soldi che già stanzia? Il Comune non si sa bene come? E poi? I precedenti di partneriato pubblico privato non sono mai stati tanto fortunati. Soprattutto perché poi, il Lingotto, bisogna gestirlo e farlo rendere anche quando il Libro non c’è. Nelle aziende, alla fine, chi porta i soldi comanda. Anche se parliamo di libri.
(Sarà una lunga vigilia di Salone, fino a maggio 2026. Quasi ci mancava...)
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