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Economia & Famiglie

Eredità (non solo Agnelli): quei 250 miliardi di euro di ricchezza sotterranea delle famiglie

Addio ai testamenti, si sceglie la via delle donazioni per motivi fiscali. La fotografia di una società che cambia

Eredità e donazioni, il grande fiume di ricchezza che cambia l’Italia: numeri, regole e nuove rotte

Dagli Agnelli ad Armani passando per i Del Vecchio e i Berlusconi: grandi successioni e grandi patrimoni che devono passare di mano, portando con sé ricchezza ma anche tessuti industriali, produttivi, storia. E divisioni. I testamenti, i lasciti diventano terreni di scontro e guerre miliardarie. E cambiano gli scenari. Così, se l'eredità Armani è stata regolamentata dal grande stilista con due testamenti dettagliati, con nome per nome dei destinatari dei lasciti, fino addirittura a individuare chi sarebbe degno di acquisire il suo impero della moda, in casa Del Vecchio si è scelta una frammentazione societaria e patrimoniale paritaria (o quasi: la guerra sotterranea è ancora in corso). Mentre dalle parti degli Agnelli, niente testamento - solo tre schede olografiche - ma tante donazioni in vita, che hanno portato all'inchiesta giudiziaria che ha investito gli Elkann. Ma come funziona, oggi, il sistema delle eredità in Italia? Che cosa muove, economicamente?

La risposta è che c’è un fiume silenzioso che scorre sotto l’economia italiana. Non fa rumore come la Borsa, non entra nelle statistiche con la puntualità del Pil, ma alimenta consumi, investimenti, scelte di vita. È il fiume delle eredità e delle donazioni. Quanto vale davvero? E come sta cambiando? La risposta, oggi, racconta un’Italia che trasferisce ricchezza a ritmi senza precedenti, spinta dall’invecchiamento della popolazione, da nuove strutture familiari e da incentivi fiscali che ridisegnano il passaggio generazionale. Ma la misura del business è impressionante: vediamo le cifre.

UN TESORO PIÙ GRANDE DI QUANTO DICONO I REGISTRI
Un tesoro stimato 250 miliardi di euro nel 2020, pari ad almeno il 15% del Pil. È questo il valore reale dei patrimoni trasferiti in Italia tra eredità e donazioni, secondo le stime coordinate da Salvatore Morelli, docente di Economia pubblica all’Università di Roma Tre e tra i coordinatori del Forum Disuguaglianze e Diversità. «Ci muoviamo in un quadro di relativa scarsità di dati ma le nostre stime più recenti, per il 2020, portano a questa cifra tenuto conto, per esempio, del valore di mercato degli immobili e non di quello catastale applicato», ha spiegato Morelli ai media. Il confronto con i numeri ufficiali del Mef è eloquente: per lo stesso anno risultavano poco più di 70 miliardi di euro. La forbice è ampia e, in controluce, indica quanto gli aggregati basati su valori catastali sottostimino la reale portata del fenomeno. Che il “fiume” stia crescendo lo confermano gli atti più recenti: per l’anno d’imposta 2023, gli atti di registro e successione quantificano in quasi 80 miliardi di euro i beni trasferiti tra immobili e diritti reali immobiliari, aziende, azioni e obbligazioni, altri cespiti. E dentro questa massa c’è un’onda in accelerazione: le donazioni. «Salgono le donazioni», osserva ancora Morelli. «Rappresentano ormai il 40% del totale: di sicuro, per gli incentivi fiscali ma anche per un cambio strutturale nella società».



LA MAPPA DELLE DONAZIONI: COSA, DOVE, CHI
La propensione a fare testamento resta bassa: secondo le rilevazioni del ministero della Giustizia, in media non più del 13% degli italiani formalizza le proprie volontà. Ma la donazione in vita, con atto pubblico notarile, appare sempre più come la “valvola di regolazione” del passaggio generazionale. I dati del Notariato parlano chiaro: nel 2024 sono stati registrati 47.085 atti per trasferire beni mobili (+1,7% sull’anno precedente) e ben 217.749 per beni immobili, in aumento del 6,8%, vicino al record del 2021. Non solo pianificazione: spesso si tratta di sostegno immediato ai figli, in un contesto di reddito disponibile più contenuto. Che cosa si dona? Sul fronte dei beni mobili, prevalgono quote e azioni (42,39% del totale) e denaro (40,64%). Sul fronte immobiliare, abitazioni e fabbricati (negozi, capannoni, magazzini) dominano la scena: insieme a nuda proprietà e usufrutto, gli immobili rappresentano quasi l’80% delle donazioni; i terreni agricoli restano stabili. L’identikit dei donanti restituisce tratti interessanti: in testa ci sono le donne, più presenti nel ruolo di chi cede; per i beni mobili si distinguono Lombardia e Veneto, con il Piemonte al terzo posto al 9% del totale di atti nazionali; per i beni immobili primeggiano il Sud e le isole, con la Campania sul podio a quota 28.452 atti nell’ultimo anno. L’età? In genere chi dona ha dai 56 anni in su; chi riceve ha tra i 18 e i 55 anni, ma oltre un quarto è già nella fascia over 46. Dietro le cifre, si muovono fattori strutturali. Famiglie più complesse – coppie separate, unioni non formalizzate, nuclei allargati – spingono a pianificare per ridurre il rischio di liti, in casa e in azienda. L’allungamento della vita, poi, consente ai “baby boomer” over 60 di accumulare risorse e di porzionarle con più anticipo. «A dispetto della narrazione, siamo ancora un paese di formiche e la propensione al risparmio resta alta», sottolinea Pietro Ciarletta, consigliere nazionale del Notariato. «Oggi si tende a porzionare più facilmente i propri beni per aiutare i figli. E molti fondatori di piccole e medie imprese si preoccupano di assicurare una successione alla propria attività».



LA LEGITTIMA, TRA TUTELE E NODI CHE FRENANO
La donazione non è però priva di spine. In Italia vige la “legittima”: una quota del patrimonio riservata agli eredi di primo grado. E sulla base delle attuali norme, la legittima è sempre azionabile. Che succede, per esempio, se un immobile donato a un beneficiario viene poi venduto? Può rientrare nel patrimonio ai fini della tutela dei legittimari. Questo meccanismo ha creato remore, soprattutto nei trasferimenti immobiliari, per i riflessi sui successivi acquirenti. Da qui il cantiere normativo: un disegno di legge in discussione in Parlamento punta a circoscrivere in famiglia le eventuali dispute, ipotizzando un risarcimento tra parenti senza effetti su chi ha acquistato. Il principio è chiaro: proteggere i terzi e al tempo stesso rafforzare la certezza delle transazioni. 

LA LEVA FISCALE: FRANCHIGIE GENEROSE E FINE DEL COACERVO
Se la domanda cresce, è anche per la leva fiscale. Le donazioni seguono lo schema dell’imposta di successione: franchigia, aliquota, base imponibile. Per coniuge e figli, la franchigia individuale arriva a un milione di euro per ciascun erede; oltre la soglia, si applica il 4% sulla parte eccedente. Una novità di peso scatterà dal 1° gennaio 2025: la definitiva fine del cosiddetto “coacervo donativo”. Finora, ai fini dell’imposta di successione, si cumulavano le donazioni effettuate in vita; ora si prevede la separazione con doppia franchigia: un milione in donazione più uno in successione. Per coniuge e figli la franchigia cumulabile sale così a due milioni, con un risparmio potenziale fino a 40 mila euro (il 4% sul milione in più esente). Per le imprese di famiglia, inoltre, è stata estesa l’esenzione per aziende o rami d’azienda e partecipazioni trasferite a coniuge o figli, a condizione di proseguire l’attività per almeno cinque anni o conservare il controllo per lo stesso periodo. Un incentivo esplicito al passaggio generazionale.

UN GETTITO MODESTO, UN CONFRONTO CHE INTERROGA
A fronte di questi incentivi, il gettito resta contenuto: meno di un miliardo all’anno. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’università Cattolica, l’Italia è tra i Paesi più timidi su imposta di successione e donazione: aliquote basse, scarsa progressività, franchigie elevate. Nel 2022 l’erario ha incassato 1,043 miliardi di euro, pari allo 0,18% delle entrate tributarie. Il confronto europeo è netto: 18,6 miliardi in Francia, 9,8 in Germania, 3,5 in Spagna. È equilibrato questo mix tra generosità fiscale e gettito? La domanda non è ideologica, ma economica: qual è il punto di equilibrio tra equità intergenerazionale, tutela dei ceti medi e funzione redistributiva del prelievo?

LA FRONTIERA DEI PATRIMONI SENZA EREDI
C’è infine un’altra corrente del fiume: i patrimoni senza eredi. La Fondazione Cariplo stima che nel 2030 potrebbero sfiorare i 21 miliardi di euro e, per effetto del calo delle nascite, arrivare nell’arco del decennio successivo fino a 90 miliardi di euro. I potenziali lasciti senza un legittimo beneficiario andrebbero da 8,4 miliardi nel 2023 a 35,7 miliardi nel 2040. Cosa farne? Il terreno è fertile per la filantropia organizzata e per modelli che canalizzino risorse verso istruzione, salute, coesione sociale. Un’occasione che chiama in causa notai, fondazioni, istituzioni: senza erodere la libertà di scelta, si può favorire una cultura del lascito consapevole.

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