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Wine & Food
11 Novembre 2025 - 20:50
Può un vino che nasce in una Doc di appena 34 ettari ritagliarsi un posto accanto ai giganti delle Langhe? La domanda è tutt’altro che retorica nelle colline vitate di Verduno, dove il Verduno Pelaverga celebra i trent’anni della sua Doc e rivendica, con discrezione e carattere, il proprio spazio in un territorio storicamente dominato dal Nebbiolo da Barolo e Barbaresco. Qui, in uno dei cuori pulsanti della Langa Patrimonio Mondiale Unesco, un rosso dalla personalità “funky” - leggero nel colore, nitido nel sorso, croccante e speziato - trova oggi nuova centralità culturale e commerciale. Perché limitarsi alla potenza quando si può raccontare la sfumatura?
Una nicchia che parla al presente
Parliamo di un prodotto di nicchia nei numeri, non nell’identità: 34 ettari vitati e una produzione intorno alle 280mila bottiglie, sostenute dall’associazione “Verduno è uno” che non ha mai trattato questo vitigno come “figlio di un dio minore”. Diciassette produttori, un paese - Verduno - che dà nome sia al vino sia alla sua storia, e una scelta strategica: scommettere su un rosso che si presta tanto al tavolino da pic-nic quanto alla tavola imbandita. L’aggettivo che ricorre tra gli addetti ai lavori è “funky” appunto: brioso, trasparente, con tannino non ruvido e un profilo aromatico immediatamente riconoscibile. Il Pelaverga piccolo, oggi, è uno dei rossi più contemporanei che si possano bere nelle Langhe.
Un nome antico e due identità piemontesi
Da dove viene il nome “Pelaverga”? Secondo alcune fonti deriva dal latino pellis virga, un rimando alla “pelatura” parziale dei ramoscelli della vite, pratica antica per favorire la maturazione dell’uva. C’è poi la lettura più maliziosa, quasi boccaccesca, legata all’ambivalenza della parola “verga” e a una tradizione popolare che voleva il vino afrodisiaco: suggestioni che, nel loro eccesso, raccontano quanto questo vitigno abbia alimentato immaginari. In Piemonte i Pelaverga sono due, e non si tratta di una semplice variante: il Pelaverga grosso, coltivato nelle aree pedemontane del Saluzzese (Cuneo), e il Pelaverga piccolo, che deve la sua diffusione in Langa - secondo la tradizione - al beato Sebastiano Valfrè nel Settecento, quando lo portò dal Saluzzese alla sua Verduno natale. La scienza ha chiarito i contorni: gli studi confermano che si tratta di "cultivar differenti, con caratteristiche autonome e inconfondibili". Insomma, una parentela di nome più che di fatto.
Il pepe nel bicchiere
Che cosa rende il Verduno Pelaverga così riconoscibile al naso? Il protagonista è il rotundone, una molecola aromatica naturale appartenente alla famiglia dei sesquiterpeni. È la stessa responsabile della nota di pepe - nero o bianco - in alcuni vini e in spezie e erbe come timo e rosmarino. Bastano poche tracce per farsi sentire: la soglia di percezione è bassissima, e nel Pelaverga le concentrazioni medie rilevate si aggirano intorno ai 40 ng/L. Non un dettaglio tecnico, ma la “firma” sensoriale di un vino che, già dopo pochi giorni di fermentazione, riempie le cantine di sfumature speziate. Quella speziatura non è un trucco enologico: è DNA.
Geologia e clima: perché Verduno è unico
La Doc è circoscritta: Verduno, e porzioni dei comuni di La Morra e Roddi. Un anfiteatro viticolo influenzato dai venti alpini e dalla presenza del Tanaro, dove i vigneti poggiano su due formazioni chiave. Le Marne di sant’Agata, fine trama di limo e argilla con poca sabbia e molto calcare, e la cosiddetta Vena del Gesso, alternanza di marne e banchi cristallini di gesso. Altitudini tra i 200 e i 400 metri, esposizioni variabili dal pieno sud di Monvigliero - cru iconico e Menzione Geografica Aggiuntiva del Barolo - fino a ovest ed est: è una geografia di sfumature che si riflette nel bicchiere. Non è un caso se già nel 1985, quando il paese rischiava lo spopolamento, sei produttori fondarono un’associazione sostenuta dall’amministrazione comunale, mettendo a dimora una vigna sperimentale proprio a Monvigliero. Il messaggio era chiaro: il vino come strumento per restare, non per partire.
Dal Dopoguerra alla rinascita contemporanea
Nel Novecento la fiamma del Pelaverga piccolo è rimasta accesa grazie a tenaci guardiani. Tra le due guerre e nel dopoguerra, l’azienda Comm. G.B. Burlotto continuava a vinificarlo in purezza, benché negli anni Cinquanta e Sessanta la produzione fosse scesa a circa mille bottiglie l’anno. Il primo decisivo cambio di passo arriva nel 1972, quando il Castello di Verduno impianta nuovi vigneti esclusivamente a Pelaverga piccolo, riaccendendo l’interesse e aprendo la strada a molti. Da quel nucleo storico nascerà poi ufficialmente, nel 2000, l’Associazione dei Produttori di Verduno. In parallelo, il gusto del tempo ha trovato nel Pelaverga un alleato: la sua leggerezza non esile, la tonicità del sorso, la speziatura naturale sono diventati tratti ricercati. Non c’è solo il culto della struttura; oggi c’è desiderio di vini che dialoghino con il cibo, con le stagioni, con la convivialità.
Le voci dei vignaioli
Cosa vuol dire interpretare il Pelaverga piccolo nel 2020? Chiedetelo a Gianluca Colombo, tra gli ultimi vignaioli di Langa a cimentarsi con il vitigno: azienda a Roddi, prima annata 2020, impianti del 2017. Nessun legno, scelta dell’anfora. “La Pelaverga può avere struttura, complessità, una personalità chiara, senza perdere la leggerezza che la caratterizza” spiega. La sua bottiglia esce a fine maggio per esigenze commerciali, ma secondo lui dà il meglio dopo almeno un anno. Oggi produce circa 3mila bottiglie, destinate a salire a 5mila, e piace sia in Italia sia all’estero: “È un vino contemporaneo: piacevole, riconoscibile, versatile. Puoi berlo d’estate, d’inverno, come aperitivo. Non ha quell’anima impegnativa del Nebbiolo o del Barolo, e questo lo rende unico”. Una crescita possibile, ma senza allargare i confini storici: “L’area storica di produzione non verrà toccata, ma la produzione aumenterà”. Poi ci sono i fratelli Alessandria, la cui prima bottiglia risale al 1973; oggi il vino si chiama Speziale (30mila bottiglie), come l’agriturismo, per rimarcare il tratto distintivo. C’è poi un’idea di territorio che diventa identità. Verduno è un luogo unico. È l’unico paese dove si incontrano quattro formazioni geologiche diverse, che si mescolano tra loro creando suoli particolari, attraversati da vene di gesso. Una volta quella diversità era vista come un limite. Oggi la consideriamo un’opportunità.
Crescere senza perdere l'anima
Dove può arrivare il Verduno Pelaverga? Le cifre suggeriscono una crescita “vigilata”: dai 7 ettari di trent’anni fa ai 35 attuali, con un orizzonte possibile di 50. Una soglia fisiologica, imposta dalla geografia. È una buona notizia, se l’obiettivo è custodire tipicità e riconoscibilità. In un territorio dove il Nebbiolo ha imposto la grammatica della grandezza, il Pelaverga piccolo offre una sintassi diversa: l’allungo aromatico del rotundone, la spinta sapida delle Marne di sant’Agata e della Vena del Gesso, una versatilità gastronomica che lo porta con agio dall’aperitivo ai piatti più intensi. Vino “funky”, sì, ma con metodo. La vera domanda, allora, non è se questo rosso possa convivere con i colossi della Langa: lo fa già, e da tempo.
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