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Finanza & Segreti

Dai lingotti di Agnelli al Vaticano: quanto oro c'è in Italia? Ecco perché lo Stato vuole tassarlo (quello degli italiani)

L'idea di una tassazione per fare emergere una ricchezza sommersa di 197 miliardi di euro. Il nodo della manovra e dei condoni

Oro e dividendi, la maggioranza cerca la quadra: tassazione agevolata per cancellare la stretta

Lo chiamano l'Oro del Senatore e dicono che sia il segreto meglio custodito degli Agnelli: 138 tonnellate d'oro, per un valore stimato in 15 miliardi di euro, chiuse in un caveau segreto in Svizzera. Un tesoro - di cui la Famiglia smentisce l'esistenza - che Gianni Agnelli avrebbe ereditato dal nonno Senatore. 

Chi ce l'ha davvero un patrimonio in oro è il "socio" - nella Juve, dove a proposito oggi si combatte in cda proprio sul suo ruolo - di Elkann, ossia il big delle criptovalute Tether: circa 7 tonnellate di oro, depositate a Londra, per garantire la conversione della stablecoin XAUT legata al nobile metallo.

Circa 6,7 miliardi di valore, invece, per le 60 tonnellate d'oro del Vaticano, secondo quanto da anni si dice. Ma in Vaticano fanno parlare i bilanci dello Ior, secondo cui fra lingottini e monete le riserve auree ammonterebbero a 41mila euro. 

Quanto vale l'oro oggi?
Reali o meno, questi tesori sarebbero comunque inattaccabili dallo Stato italiano, trovandosi all'estero. Nel mirino dello Stato, invece, c'è l'oro degli italiani: non quello su cui investono i big della finanza ma anche i vari fondi, che puntano sul valore di mercato di lingotti "immateriali". Qui si parla di lingotti, monete, beni rifugio per eccellenza: il prezzo attuale dell'oro è di circa 3.900 euro all'oncia (110 euro al grammo), con crescita negli ultimi giorni del +3% circa. 

Il piano del Governo: tassare l'oro degli italiani
Il piano nelle stanze del governo, impegnato nel confronto sulla manovra all’esame del Senato, sarebbe di tassare in modo agevolato l’oro fisico detenuto dalle famiglie italiane per reperire le risorse necessarie a depotenziare, se non cancellare, la contestata stretta sui dividendi infragruppo per partecipazioni sotto il 10%. Un’idea, rivelata dal quotidiano MilanoFinanza che gioca sul paradosso: far affiorare ricchezza “dormiente” per neutralizzare un aumento d’imposta che, dal piano industriale a quello finanziario, è considerato rischioso per la competitività del sistema.

Quanto oro c'è in Italia?
Ma quanto vale questo tesoro? Vi presentiamo questa lista, compilata secondo le statistiche dell’IFS (International Financial Statistics) e del FMI (Fondo Monetario Internazionale), con il numero di oro in tonnellate aggiornato a febbraio 2023 dell'Italia a confronto con altri Paesi. 

  1. Stati Uniti – 8.133
  2. Germania – 3.355
  3. Italia – 2.452
  4. Francia – 2.437
  5. Russia – 2.299
  6. Cina – 2.011
  7. Svizzera – 1.040
  8. Giappone – 846
  9. India – 787
  10. Paesi Bassi – 612

Il valore, per l'Italia, si riferisce alle riserve auree depositate dalla Banca d'Italia: 2.452 tonnellate, appunto, per 197 miliardi, di cui la metà nei caveau romani e il resto in Svizzera e Stati Uniti. 


Un'idea che luccica
La proposta, che ricalca l’impostazione già adottata dalla legge di Bilancio 2025 per le criptoattività, punta a far emergere e tassare in misura ridotta le plusvalenze sull’oro da investimento. Parliamo di lingotti, monete da collezione e placchette: un patrimonio stimato tra 133 e 166 miliardi di euro, pari a 1.200-1.500 tonnellate considerando il prezzo di mercato. L’obiettivo dichiarato è duplice: generare un “immediato e rilevante gettito per l’Erario” e, al tempo stesso, incentivare la regolarizzazione e la circolazione di un bene rifugio che, per definizione, tende a restare al riparo dai radar.



Le cifre in gioco
Il confronto politico ruota attorno a un numero: il miliardo ritenuto necessario per cancellare la norma che porterebbe la pressione fiscale sulle cedole dall’1,2% al 24% per le partecipazioni inferiori al 10%. Una mutazione genetica, più che un ritocco, con un rischio non secondario di fuga all’estero delle imprese. La tassazione agevolata dell’oro, secondo le stime circolate, potrebbe fruttare fino a 2 miliardi, circa il doppio del fabbisogno. Un margine che renderebbe la soluzione non solo praticabile ma anche politicamente appetibile, poiché eviterebbe di scontentare il mondo produttivo e finanziario già allarmato dalla stretta sui dividendi infragruppo, ossia quella tassazione che verrebbe a colpire le imprese che investono.



Come funziona 
Nel dettaglio, la proposta su cui lavorano esponenti parlamentari di maggioranza – specifica sempre Milano Finanza – prevede un’aliquota del 12,5% per chi avvia la procedura di rivalutazione entro il 30 giugno 2026. Verrebbe così superata l’attuale rigidità: in assenza di documenti d’acquisto, oggi si applica un’imposta del 26% sull’intero valore ceduto, anche se non vi è plusvalenza o intento speculativo. Il nuovo schema, al contrario, circoscriverebbe il prelievo alla plusvalenza e lo dimezzerebbe in chiave premiale, a patto di coinvolgere intermediari e operatori professionali iscritti al registro degli operatori professionali in oro presso l’Organismo Agenti e Mediatori. Sul fronte operativo, l’imposta agevolata andrebbe versata entro il 30 settembre 2026, con la possibilità di rateizzare in tre tranche annuali: la prima sempre entro settembre, le successive gravate da interessi del 3% annuo da corrispondere contestualmente. 


Obiettivi dichiarati e nodi aperti
Il cuore economico dell’iniziativa è nell’emersione: ipotizzando l’adesione del 10% dei detentori, le entrate stimate oscillano tra 1,67 e 2,08 miliardi di euro. Degna di nota è la logica incentivante: si offre una “finestra” a tempo per regolarizzare a condizioni favorevoli, nella convinzione che il beneficio del contribuente – certezza fiscale e liquidabilità del bene – si traduca in beneficio per lo Stato sotto forma di gettito immediato. È un equilibrio sottile, però, che apre anche interrogativi: in che misura un regime agevolato rischia di alimentare l’aspettativa di futuri condoni? E come evitare che la misura venga percepita come una corsia preferenziale per chi ha scelto l’opacità?

D’altro canto, la fotografia del presente suggerisce pragmatismo. La norma sui dividendi infragruppo, giudicata trasversalmente da depotenziare o cancellare, alzerebbe di colpo il cuneo fiscale sulle distribuzioni di utili per partecipazioni sotto il 10% dall’1,2% al 24%. La reazione temuta – riorganizzazioni societarie, delocalizzazioni, compressione degli investimenti – è un rischio di cui la politica deve tener conto. Mettere a frutto una base imponibile esistente e poco tracciata come l’oro fisico può apparire, in questo contesto, la soluzione meno distorsiva. 

Il calendario politico
I tempi sono stretti. Il termine per presentare gli emendamenti al Senato è fissato per il 14 novembre: meno di dieci giorni per chiudere il cerchio e decidere se inserire nella manovra l’intervento sull’oro. La proposta è già all’attenzione delle forze di maggioranza. Il leghista Giulio Centemero l’ha rilanciata pubblicamente a Milano, in occasione dell’evento Milano Capitali 2025 promosso da Class Cnbc e Milano Finanza. Nelle scorse settimane, sulle pagine di MF, anche Maurizio Casasco, responsabile del dipartimento Economia di Forza Italia, aveva aperto a questa soluzione. 

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