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L'inchiesta a Milano

Turisti-cecchini a Sarajevo per sparare a vecchi e bambini: spunta un uomo di Torino

Cinque italiani sospettati dei "safari della morte" durante la guerra. Il tariffario per uccidere

cecchini del weekend, Milano apre un fascicolo: ombre italiane sull’assedio di Sarajevo

Un tariffario dell'orrore per sparare a vecchi e bambini. E ai soldati. A Sarajevo martoriata dalla guerra: turisti dell'orrore, dove spunta anche uomo di Torino. È quanto stanno scoprendo a Milano, dove la Procura ha aperto un’indagine su presunti “cecchini del weekend” che, tra il 1992 e il 1996, avrebbero pagato per sparare su civili durante l’assedio di Sarajevo. Un’ipotesi che fa tremare i polsi e che, se confermata, disegnerebbe un tariffario dell’orrore in cui perfino i bambini “costavano di più”. È possibile che, a trent’anni di distanza, si scopra che tra quei tiratori ci fossero anche italiani, fra cui un torinese? La giustizia prova a rispondere.

L’inchiesta a Milano
La decisione è maturata dopo un esposto di 17 pagine, datato 28 gennaio, firmato dallo scrittore Ezio Gavazzeni e assistito dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini. A luglio è arrivata la notizia dell’apertura di un’inchiesta: il pubblico ministero Alessandro Gobbis procede per omicidio volontario plurimo, aggravato dai motivi abietti e dalla crudeltà. Le indagini, come riferito dall’ANSA, saranno delegate al ROS dei Carabinieri. Il fascicolo riguarda cinque persone che, secondo l’impianto accusatorio tutto da verificare, avrebbero preso parte allo “spettacolo” dell’assedio affiancando i serbo-bosniaci sulle colline attorno a Sarajevo. Le tracce non nascono oggi. Già trent’anni fa qualche articolo evocava “vacanze in Bosnia per fare la guerra”, voci rimaste al margine del dibattito pubblico, fra scandalo e incredulità. Negli anni si sono aggiunte testimonianze, documentari, frammenti di verità. Gavazzeni ha raccolto quel materiale e lo ha consegnato agli inquirenti, chiedendo di accertare se davvero turisti armati, benestanti e adrenalinici, abbiano trasformato una città martoriata in un macabro poligono a cielo aperto.

La pista bosniaca: l'allarme ai servizi italiani nel 1993
Il cuore dell’esposto sono alcune comunicazioni con una “fonte” identificata per nome e cognome: un ex membro dell’intelligence della Bosnia-Erzegovina. Secondo quanto riferito, già alla fine del 1993 i servizi bosniaci avrebbero informato la locale sede del SISMI (oggi AISI) a Sarajevo della presenza di “almeno 5 italiani” sulle alture che cingevano la città, “accompagnati per sparare ai civili”. In uno scambio di email del 2024, l’ex 007 ricorda di aver appreso del fenomeno analizzando i documenti del Servizio di sicurezza militare bosniaco relativi all’interrogatorio di un volontario serbo catturato. Quell’uomo avrebbe riferito che “5 stranieri hanno viaggiato con lui da Belgrado alla Bosnia Erzegovina (almeno tre di loro erano italiani)”. Non solo. All’epoca, sostiene l’ex agente, le informazioni furono condivise con ufficiali del SISMI presenti a Sarajevo perché risultavano “indicazioni che gruppi turistici di cecchini/cacciatori stavano partendo da Trieste”. E qui affiora un dettaglio che, se confermato, inchioderebbe la geografia dell’orrore: tra i presunti “clienti” ci sarebbero stati “un uomo di Torino, uno di Milano e l’ultimo di Trieste”. Il milanese sarebbe stato “proprietario di una clinica privata specializzata in interventi di tipo estetico”. Sono elementi da riscontro, che oggi il pm Gobbis e il ROS dovranno verificare ascoltando i testimoni indicati e setacciando archivi, tabulati, elenchi di viaggio.

Il "tariffario dell'orrore"
Il quadro che emerge dalle “soffiate” raccolte nell’esposto è agghiacciante. Ai presunti tiratori veniva presentata una macabra scala di valore: “i bambini costavano di più, poi gli uomini (meglio in divisa e armati), le donne e infine i vecchi che si potevano uccidere gratis”. Non si tratta di cifre, ma di priorità: la logica di un “safari” in cui la vita perde significato e l’etica si spegne, come una luce, davanti alla sfida e all’euforia del bersaglio. Ma chi organizzava? Secondo i servizi bosniaci, dietro ci sarebbe stato il servizio di sicurezza statale serbo, con l’ausilio delle infrastrutture dell’ex compagnia aerea serba di charter e turismo. In questo disegno, a Jovica Stanišić, figura poi condannata per crimini di guerra, viene attribuito “un ruolo chiave”. Il tratto internazionale è costante. Nel documentario “Sarajevo Safari”, diretto da Miran Zupanic nel 2022, un testimone anonimo e altre fonti parlano di americani, canadesi e russi, oltre che di italiani, “disposti a pagare per giocare alla guerra”. Gavazzeni segnala di aver ricevuto dal regista le credenziali per una visione riservata del film e si dice pronto a metterle a disposizione dell’autorità giudiziaria. 

Le ombre dei "turisti-cecchini"
Chi erano, davvero, questi presunti cecchini del weekend? L’esposto tratteggia profili di appassionati di caccia e armi, ambienti contigui all’estrema destra, persone “molto ricche” in grado di sostenere costi e rischi di un’“impresa” adrenalinica. La “copertura dell’attività venatoria” avrebbe consentito di accompagnare i gruppi fino a Belgrado “senza sospetti”, confondendo bagagli, fucili e velleità belliche nel flusso di un turismo che, in quegli anni, sapeva mimetizzarsi. È solo un’ipotesi investigativa, ma che trova eco in una deposizione del 2007: un ex vigile del fuoco statunitense, volontario a Sarajevo, raccontò nel processo a carico del comandante serbo-bosniaco Ratko Mladić di aver visto tiratori che “non mi sembravano persone del posto: il loro modo di vestire e le armi mi hanno fatto pensare che fossero tiratori turistici”. 

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