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Miti del Piemonte
19 Novembre 2025 - 21:00
Negli anni ’50, tra le montagne cuneesi, prese forma una delle storie più curiose della cronaca locale: la presunta comparsa di un enorme rettile nella Valle Stura. Tutto ebbe inizio a metà del decennio, quando alcuni giornali iniziarono a riferire avvistamenti di una creatura dalla forma serpentina che vagava tra le brughiere di Moiola.
Nel 1954, un breve trafiletto sul Corriere della Sera raccontò della spedizione di una pattuglia di carabinieri: erano rientrati senza aver trovato nulla, dopo aver perlustrato canneti e macchie di vegetazione attorno al fiume Stura. I pastori della zona sostenevano di aver visto un serpente lungo più di due metri, dal colore verde cupo, munito di una sorta di cresta luminosa e capace di emettere un fischio assordante. Alcuni testimoni, presi dal panico, dichiararono di essere addirittura svenuti.
In poco tempo, il racconto si propagò nei paesi della valle. Pescatori, contadine e altri valligiani riferirono di aver notato qualcosa di simile, alimentando il sospetto che non si trattasse di un semplice equivoco. Si cominciò perfino a parlare di “suggestione collettiva”.
Nel settembre dello stesso anno, la Gazzetta Sera aggiunse dettagli ancora più impressionanti: secondo nuovi testimoni, l’animale somigliava a un serpente dalla testa di coccodrillo e sfiorava i tre metri di lunghezza. Operai delle ferrovie e lavoratori della zona dissero di averlo osservato mentre si muoveva tra fango e paludi.
Una misteriosa “agenzia di informazione” locale sostenne addirittura di aver avuto un incontro ravvicinato con la creatura, che venne descritta come simile a un’enorme iguana, dotata di cresta seghettata e minuscole zampe. L’unica vittima accertata di quell’ondata di paura fu una mucca, morta per lo spavento.
Nonostante l’assenza di prove tangibili—nessuna foto, nessuna traccia concreta—si iniziarono a proporre strategie di cattura. I Carabinieri di Demonte organizzarono una battuta, senza ottenere risultati. La Gazzetta Sera criticò apertamente la testimonianza dei presunti cronisti locali, che giustificarono la mancanza di fotografie dicendo di non avere con sé un apparecchio con lampo al magnesio.
Il giornale osservò inoltre che l’ipotesi dell’iguana non combaciava con tutte le testimonianze: l’animale della valle, dicevano in molti, “fischiava”, mentre le iguane non lo fanno. Tra le proposte più pittoresche, qualcuno suggerì di inviare squadre di boy scout—idea giudicata bizzarra perfino dai giornalisti. Altri preferirono invocare interventi di alpinisti o forze dell’ordine equipaggiate più seriamente, temendo che l’animale potesse migrare altrove con l’arrivo dell’inverno.
Con l’autunno la vicenda andò spegnendosi, finendo lentamente nel dimenticatoio. Episodi simili, tuttavia, non erano rari in quegli anni: solo venti giorni dopo il picco della “caccia al serpente”, a Glasgow centinaia di bambini si misero a inseguire un presunto vampiro dai denti d’acciaio, scatenando scompiglio nelle strade.
Riflettendo a posteriori, la spiegazione più probabile è la più semplice: un rettile comune, forse di dimensioni insolitamente grandi, fu scambiato per un mostro a causa di avvistamenti rapidi, notturni e imprecisi. Il passaparola fece il resto, ingigantendo ogni dettaglio. Eppure, in quelle zone di montagna la fantasia non doveva compiere troppi sforzi: le leggende alpine parlano da secoli di serpenti crestati e sibili spaventosi che abitano pendii e boschi.
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