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la storia

Elena, 30 anni, medico di base: «Mille euro al mese, 12 ore di lavoro e pure le aggressioni»

In Piemonte mancano quasi 500 medici, ma nessuno vuole fare questa professione: «A volte mi chiedo se ne vale la pena»

 Elena Bertero, 30 anni, una delle “giovani leve” della medicina piemontese

Elena Bertero, 30 anni, una delle “giovani leve” della medicina piemontese

Trent’anni, dodici ore di lavoro al giorno, uno stipendio che in alcuni mesi non arriva a sfiorare i mille euro. «E ho pure la partita Iva. Mio marito? Non mi vede quasi mai, sono sempre in studio a lavorare», sospira Elena Bertero, una delle “giovani leve” della medicina piemontese, mentre si appresta ad aprire lo studio di zona Lucento per accogliere i pazienti, in quella che sarà l’ennesima faticosa giornata. Elena è medico di famiglia e il suo studio lo ha aperto pochi mesi fa, per la precisione l’8 agosto, in un quartiere della periferia di Torino. Le spese iniziali dello studio, la segretaria da pagare («Perché non posso farne a meno, altrimenti impazzirei per davvero») più altri soldi da sborsare come quelli per il software per la gestione delle visite mediche, che costa più di mille euro all’anno («L’Asl concede la cosiddetta “indennità informatica”, ma non è sufficiente») a volte la fanno tentennare. «Andare nel settore privato? No, io credo nella nostra sanità, anche se il classico: “Chi me l’ha fatto fare?” mi è capitato di pronunciarlo».

Nel nostro Piemonte, secondo gli ultimi dati, i medici di famiglia che mancano all’appello sono quasi 500 e i bandi per avere dei nuovi dottori vanno spesso deserti. In una situazione tale, le nuove leve che devono far fronte a una popolazione (di pazienti) che sta sempre più invecchiando ed è sempre più numerosa, dovrebbero essere tutelate. Ma non sempre è così. Si guadagna poco, si lavora tanto o forse troppo. E talvolta si subiscono le aggressioni. «Da quando ho aperto il mio studio in estate - racconta la dottoressa Bertero - in due occasioni stavo per essere aggredita e ho dovuto chiamare i carabinieri». Nessuna aggressione fisica, finora, per fortuna. Ma verbali sì. «Una volta un paziente era in ospedale e mi ha detto: “Hai cinque minuti per farmi la ricetta”. Da un altro paziente ho rischiato di essere picchiata perché voleva che sua moglie passasse subito, saltando la fila. In alcune occasioni - racconta - sembra quasi di essere sotto ricatto, da parte dei pazienti. E’ una situazione che a volte diventa frustrante».

Una situazione che può portare anche a pensare di mollare tutto. Ad esempio, nel corso di formazione specifica in medicina generale del triennio 2023-26, Elena Bertero era con altri 135 corsisti. Un numero considerevole. «Ma per le difficoltà dell’odierna medicina generale quel numero si è quasi dimezzato». Capitolo guadagni, sono poi così alti? Pare di no, specie se il medico di famiglia è giovane. «I guadagni più alti - spiega la dottoressa - li hanno soprattutto i medici con una certa esperienza alle spalle, che hanno raggiunto un alto numero di pazienti o addirittura il tetto limite. All’inizio si fa fatica, in alcuni mesi non sono arrivata a percepire mille euro e devo arrotondare facendo le notti alla guardia medica». E poi, appunto, ci sono i costi di cui sopra, che un medico alle prime armi deve sostenere pur non percependo stipendi elevati. Si arriva quindi a dover quasi annullare la propria vita privata. Come Elena Bertero, 30enne e fresca di matrimonio, rischia di fare: «Vedo sempre di meno mio marito, anche lui lavora e non riusciamo a stare insieme come vorremmo», rivela la dottoressa.

E dai pazienti non arrivano solo le aggressioni, verbali o al peggio fisiche, perché i medici di base devono anche sopportare altro: «Succede di subìre umiliazioni, da parte di pazienti che hanno pretese assurde e screditano il lavoro di un medico, di una persona che ha studiato anni all’università e ha fatto tanti sacrifici per sedersi dall’altra parte della scrivania. Non nascondo che ci sono momenti in cui penso di essere una che “fabbrica” ricette». E questo succede in una sanità del Piemonte dove, come detto in precedenza, i medici di base che mancano sfiorano le 500 unità, i bandi per nuovi medici vengono scartati, i corsisti si dimezzano durante il percorso, i soldi all’inizio sono pochi e i costi da sostenere alti. Medici senza tutele, dunque, in un quadro dove (con l’emendamento “Biancofiore” alla legge di bilancio) si rischia di arrivare alla responsabilità dei dottori per i danni fatti ai pazienti. I “camici bianchi”, su questo punto, sono già insorti, a livello nazionale. Restando invece nel Piemonte, la situazione è quella di giovani medici di famiglia, come appunto la 30enne Elena Bertero, costretti a lavorare in un sistema che di tutele sembra averne poche. Appunto tra aggressioni, pochi soldi, e orari improbabili. Quasi come in una trincea.

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