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L'augurio del Cardinale
25 Dicembre 2025 - 12:33
Il cardinale Roberto Repole
"Come sapete, all’origine delle celebrazioni e delle feste cristiane c’è anzitutto la Pasqua della Risurrezione, che ricelebriamo di domenica in domenica, tant’è che un grande Padre della Chiesa dell’antichità, Ignazio di Antiochia, già all’inizio dice che noi cristiani non ci raduniamo il sabato, ma la domenica. Eppure il Natale è percepito come la festa per eccellenza del popolo dei credenti in Cristo. È una festa un po’ tardiva, nasce nel IV secolo, viene celebrata nel IV secolo ma ormai è diffusa. E si diffonde come la festa per eccellenza però soprattutto a partire dal Medioevo e, in particolare, per l’impulso che darà Francesco di Assisi alla celebrazione del Natale. Tommaso da Celano, nella sua seconda biografia, dice che per Francesco era “la festa delle feste”, tanto che nel 1223 ha voluto ricostruire la nascita di Gesù a Greggio, in questo paesaggio della Valle Reatina, nel silenzio, tra i laghi, i monti, con una popolazione semplice. Perché? Perché si potesse rivivere quello che si è vissuto nel primo Natale. E tra i personaggi che colloca in quel presepio ne mette due che già nelle antiche figurazioni cristiane sorprendentemente compaiono, cioè il bue e l’asino. Se voi leggete i Vangeli, scoprite – e l’avete già fatto – che il bue e l’asino non sono citati da nessuno. Si dice che nella mangiatoia, nella greppia di Betlemme, ci sono Giuseppe e Maria che adagiano il bambino, ma il bue e l’asino non ci sono. Perché sin dai tempi antichi già i Padri della Chiesa collocano, alla nascita di Gesù, il bue e l’asino? Perché rileggono in maniera nuova, alla luce di Cristo, un testo del profeta Isaia che dice così: "Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende" (Is 1,3). Che cosa rappresentano il bue e l’asino? Rappresentano la Chiesa, fatta dai pagani e dagli ebrei che sanno riconoscere l’identità profonda di quel bambino.

Ed è interessante il simbolismo del bue e dell’asino, per due motivi che possiamo raccogliere anche noi, facendoci gli auguri in questo Natale. "Da una parte perché – come dice il testo del profeta Isaia – ciò che essi conoscono spontaneamente, a differenza del popolo di Israele che non conosce", è il posto in cui andare a mangiare. Hanno fame e allora si trovano lì e possono riconoscere il Figlio di Dio, che viene donato all’umanità perché se ne possa nutrire. E, infatti, la mangiatoia diventa a sua volta simbolizzata nell’altare dove si celebra l’Eucaristia. Una cosa che possiamo augurarci è di avere ancora fame della Parola di Dio in questo Natale, di avere fame di qualcosa che nutra nella profondità i nostri cuori. Perché? Perché allora non saremo come il popolo che non conosce e non comprende, ma saremo come il bue e l’asino, che simboleggiano la Chiesa autentica. E poi il bue e l’asino sono privi, nell’immaginario collettivo, anche nel profeta Isaia, di ragione. Tutti coloro che si pensavano sapienti non capiscono nulla nel Natale, sono rinchiusi nella loro sapienza. Chi è privo di ragione, chi non è confinato dentro la sua ragione è capace di comprendere e di vedere. Mi sembra un altro bell’augurio che possiamo farci in questo Natale: di non essere rinchiusi nei piccolissimi perimetri dei nostri pensieri, delle nostre angosce, dei nostri bisogni, delle nostre chiacchiere, ma di poterci dilatare anche solo per un istante perché, come il bue e l’asino, possiamo vedere e comprendere".
SE Il Cardinale Roberto Repole, Arcivescovo di Torino
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