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L'OPERAZIONE ALL'ALBA

Le mani della 'ndrangheta su Ivrea e Canavese: arrestate oggi nove persone (VIDEO)

I carabinieri di Torino hanno scoperto e sgominato una nuova locale. Arrestato Domenico Alvaro, il figlio del boss calabrese Carmine Alvaro

carabinieri 'ndrangheta

Il blitz dei carabinieri all'alba a casa di uno degli indagati

Le mani della 'ndrangheta anche su Ivrea. Almeno fino a questa mattina all'alba, quando i carabinieri - al termine di una indagine condotta sottotraccia per anni - hanno arrestato 9 persone e sgominato la locale, ritenuta una diretta emanazione della cosca Alvaro "carni i cani" di Sinopoli, che comandava nella "capitale" del Canavese.

In manette, tra gli altri, è finito Domenico Alvaro, residente a Chivasso e ritenuto il boss della locale di Ivrea e figlio di Carmine Alvaro “u cupirtuni”, il boss della 'ndrina "madre" attiva in provincia di Reggio Calabria. Lui e gli altri dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso.

L’indagine, condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto il coordinamento della Dda della Procura di Torino, ha permesso di ricostruire e individuare struttura organizzativa e ripartizione degli associati, suddivisione dei ruoli, luoghi di incontro, telefoni cellulari, autovetture.

Le investigazioni sono iniziate addirittura 8 anni fa, nel novembre del 2015 da una costola delle indagini "Carni i cani" e "Big Bang" con l’obiettivo di analizzare i contatti tra il clan Crea e Domenico Alvaro, emersi proprio nel corso dell'operazione Big Bang. "Le indagini - spiegano gli investigatori - fin dalle prime battute hanno evidenziato in ipotesi di accusa la presenza di due ambienti criminali distinti, entrambi di matrice ‘ndraghetista  in cui Alvaro si sarebbe mosso: da un lato un’organizzazione dedita ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti su scala internazionale con base a Torino, dall’altro un’organizzazione, facente capo a lui stesso, dedita alla commissione di vari reati contro il patrimonio sul territorio italiano ed estero".

L’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti è stata al centro dell’indagine “Cerbeero” del nucleo Investigativo di Torino che, nel 2019, ha portato all’arresto di 71 persone. L’organizzazione che risulta dedita al compimento di reati contro il patrimonio, invece, è quella al centro dell'indagine terminata questa mattina in cui è emerso come Carmine Alvaro, servendosi del primogenito Domenico, avrebbe strutturato una locale radicata sul territorio di Ivrea e del Canavese e collegata alla rete delle altre 'ndrine già individuate in passato e che si sono, di fatto, suddivise il territorio della provincia di Torino e del Piemonte.

Secondo le accuse, le truffe erano a danno soprattutto di imprenditori torinesi: gli indagati si presentavano espressamente come persone legate a “famiglie” criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro “sporco” in cambio di somme di denaro significativamente inferiori con il versamento, a titolo di anticipo, di un acconto, a volte sotto forma di lingotti d’oro e gioielli. Inutile dire che una volta messe le mani sui preziosi, gli imprenditori non ricevevano nulla in cambio e i malviventi avrebbero utilizzato la loro appartenenza all’associazione mafiosa per farli desistere da ogni azione per riavere il maltolto. Le somme sottratte in modo fraudolento supererebbero i 600.000 euro. Inoltre sono state scoperte due estorsioni a danno di un broker finanziario, duramente minacciato dai membri dell’associazione mafiosa, dal quale si sarebbero fatti consegnare la somma di 85.000 euro, incassati mediante l’intermediazione di alcune società fittizie. E ancora: un imprenditore edile in difficoltà economiche sarebbe stato costretto a effettuare dei lavori presso l’abitazione di uno degli indagati senza alcuna paga, per poi indurlo ad accettare un prestito a tasso usuraio.

L’indagine ha anche consentito di raccogliere elementi su una "guerra" con alcuni esponenti del clan Belfiore, i quali avrebbero estorto del denaro a due degli indagati. I Belfiore si sarebbero proposti quali alternativi agli Alvaro, pretendendo delle somme quale "dazio" per aver compiuto azioni criminali all’interno del loro territorio di influenza. 

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