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SCOPERTA STORICA

Scoperta la malattia che ha ucciso la piccola Bea, la "bambina di pietra"

Grazie ad una ricerca internazionale è stato identificato il gene che ha causato la calcificazione dei muscoli: «Patologia unica, non rara»

Scoperta la malattia che ha ucciso Bea, la "bambina di pietra"

La piccola Bea in braccio alla mamma

A tredici anni di distanza dalla prima diagnosi al Regina Margherita, passati in laboratorio a condurre esperimenti, un gruppo internazionale di ricercatori coordinati dalla dottoressa Elisa Giorgio dell’Università di Pavia ha identificato il gene che ha causato la calcificazione ossea della piccola Bea. La bimba che per le cronache era diventata la “bambina di pietra” e per la quale era partita la campagna di solidarietà della Onlus che porta il suo nome la cui storia è raccontata dalla zia Sara Fiorentino nel libro “Leggera come una piuma – Il mondo di Bea (Pathos Edizioni). «Un caso più che raro, decisamente unico» spiegano dalla Città della Salute e della Scienza, commentando la pubblicazione della prestigiosa rivista Nature Communication che ha pubblicato lo studio internazionale. Fu proprio l’ospedale infantile Regina Margherita nel 2010 a tentare di dare una prima spiegazione alla malattia della bimba, cercando di identificare la causa della patologia.


La piccola era stata visitata, per la prima volta, presso l’ambulatorio di Genetica Clinica Pediatrica perché presentava delle tumefazioni alle articolazioni. Le radiografie rilevano rapidamente una situazione molto particolare, una serie di “calcificazioni” che stanno progressivamente trasformando la cartilagine in osso. Bea è una bimba vivace ed intelligente, ma ben presto le articolazioni si bloccano rendendo impossibili i movimenti di braccia e gambe. Gli esami radiologici mostrano un quadro sempre più grave e sono sconcertanti anche per i medici più esperti: nessuno specialista ha mai visto un caso come quello di Bea in tutto il mondo. Da qui è partita la ricerca che è riuscita ad identificarne le cause, chiarendo come questa sia una malattia genetica non solo rarissima, ma semplicemente unica. La ricerca è iniziata attraverso la collaborazione tra i pediatri che hanno inizialmente approfondito il quadro clinico, il professor Giovanni Battista Ferrero, professoressa Margherita Silengo dell’Università di Torino ed il laboratorio di Genetica Medica e Malattie Rare del professor Alfredo Brusco. Per capire il complesso meccanismo alla base della malattia è stata necessaria una collaborazione con diversi centri e medici italiani come il dottor Marco Tartaglia del Bambin Gesù di Roma; e il professor Massimo Delledonne dell’Università di Verona, ma anche provenienti dall’estero, come il professor Malte Spielmann dell’Università di Lubecca e Kiel in Germania.


Inizialmente erano state approfondite le cause note di malattie genetiche associate alle calcificazioni ectopiche, quadri clinici caratterizzati da formazione di osso in tessuti normalmente non ossificati, come muscoli, tendini e legamenti. Questi disturbi sono solitamente causati da una mutazione genetica, come nella Fibrodisplasia ossificante progressiva, una rara malattia genetica in cui i muscoli ed i tessuti molli vengono gradualmente sostituiti dalle ossa. La patologia è causata da una mutazione nel gene Acvr1, responsabile dell’informazione necessaria per formare tessuto osseo nei vari distretti scheletrici. Quando questo gene è mutato, invia un segnale anomalo a vari tessuti che progressivamente calcificano e si trasformano in osso. 

La malattia di Bea aveva molte similitudini con la Fibrodisplasia, ma si era presentata nelle prime settimane di vita con un’evoluzione molto rapida ed invalidante. Le analisi genetiche avevano da subito escluso questa malattia. Nel frattempo il gruppo di ricerca aveva identificato, con una serie di approfondimenti, un’anomalia cromosomica unica, mai descritta in letteratura che può portare ad un’espressione genica alterata. L’attività di ricerca ha permesso di capire, dunque, quali fossero le cause della produzione di una proteina in quantità molto più elevate dell’atteso, ma soprattutto nel tessuto sbagliato: la cartilagine. Proprio il gene identificato nella prima fase induceva la formazione di tessuto osseo dove non dovrebbe essere presente.

«Questo studio è la dimostrazione di come la collaborazione tra gruppi di ricerca con competenze diverse sia la chiave per ottenere successi scientifici - spiega la dottoressa Giorgio -. La ricerca ha bisogno di tempo e si costruisce sulle conoscenze che a mano a mano gli scienziati accumulano. Nel 2010 non avevamo i mezzi tecnologici né le conoscenze di base per capire la malattia di Bea». Proprio la dottoressa Giorgio nel 2015 aveva scoperto un meccanismo simile a quello che causa la malattia di Bea, come causa di una rara forma di malattia neurodegenerativa, che è diventato uno dei filoni di ricerca del suo laboratorio a Pavia. La definizione del meccanismo biologico alla base del quadro clinico ha permesso di dare alla famiglia della bambina una risposta attesa da molti anni, una risposta che permette, come in tutte le malattie rare, di porre fine all’odissea diagnostica, complessa e dolorosa che caratterizza queste patologie.

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