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L'INTERVENTO
21 Maggio 2023 - 20:36
Lo scrittore francese Emmanuel Carrère
A poche ore dall’assegnazione del decimo Premio Strega Europeo 2023, lo scrittore francese Emannuel Carrère appare quasi serafico nel suo maglioncino blu. Pronto a spaziare dal terrorismo islamico al concetto di «democrazia sovrana» applicato nella Russia di Putin. «In Russia la democrazia è percepita come nociva. E io, proprio come per gli attentatori in Francia, ho il desiderio di capire le sue ragioni, Ma questo non significa cercare di giustificarlo. Esattamente come per i jihadisti del Bataclan».
Centinaia in coda per Carrère
Sono centinaia i suoi lettori che attendono da oltre due ore in coda per entrare nella Sala 500 del Centro Congressi del Lingotto e ascoltare l’intervista che gli farà l’inviato del Corriere della Sera, Marco Imarisio, sul suo ultimo libro “V13”. Una cronaca giudiziaria del processo per gli attentati che sconvolsero Parigi venerdì 15 novembre del 2015, che l’autore di “Limonov” e “La settimana bianca” ha seguito per il settimanale francese L'Obs nel 2021. Una traversata fitta nell’orrore durata nove mesi, due settimane e cinque giorni per 148 udienze complessive raccontate attraverso le vittime, i carnefici e i testimoni di un massacro, senza precedenti in Europa, come fossero i protagonisti di un grande racconto collettivo che, solo lo scorso anno, Anais Ginori ha riportato in italiano per Robinson. Prima che l’autore ne facesse un volume per i tipi di Gallimard nel 2022 e che Francesco Bergamasco lo traducesse per Adelphi.
Un romanziere prestato alla “giudiziaria”
«Io, in verità, non mi sarei mai immaginato, né avrei mai voluto scrivere un libro sugli attentati. Non avrei nemmeno saputo come farlo e avrei corso il rischio di ricadere in una qualche forma di oscenità nel raccontarlo. Ma quando, appunto, si è presentata la possibilità di farlo e raccontare attraverso il processo gli attentati con la “barriera” della giustizia ho avuto l’impressione molto che fosse possibile. In questo modo, alle vittime e alle persone coinvolte, veniva data la parola e la possibilità di raccontare e mi sembrava utile riportare quelle parole» racconta Carrère, confessando di «non avere imparato o di essere in qualche modo cambiato ascoltando le “ragioni” del jihadismo». Ciò che lo ha segnato, invece, sono state le storie delle vittime e, soprattutto, chi ha dovuto testimoniare per loro. Padri, madri, compagne e compagni, feriti per sempre nell’anima, avvelenati dall’odio o rappacificati nella coscienza di chi ha voluto rifiutarlo. «Ascoltando le storie delle persone accusate devo dire che non è accaduto nulla di particolarmente profondo. C’è però invece il racconto delle vittime, una esperienza estrema che ho vissuto attraverso le loro parole. E il fatto che abbiano trovato espressione si è tradotto in un’esperienza davvero indimenticabile. A tratti, anche magnifica, non solo e sempre terribile». Ciò che lo ha cambiato, davvero, è stato il fatto di aver «trovato una “comunità” nel corso di questo anno di udienze, che si è andata creando, via via, attraverso le testimonianze delle parti civili e dei sopravvissuti, ma anche tra gli avvocati e i giornalisti. Una comunità molto profonda e molto solida, che ha stretto legami che sono poi proseguiti. E che, penso, io manterrò anche in futuro. Questo è stato l’aspetto più profondo: perché, ad un certo punto, a una delle parti civili è stato chiesto cosa si aspettasse da questo processo. E ha risposto di sperare che si creasse un “racconto collettivo". E io sono molto contento di aver potuto partecipare alla stesura di questo racconto».
Il mistero del “male assoluto”
La voce che Carrere ha dato ai protagonisti di questa tragedia, a differenza delle disposizioni processuali, non ha avuto limiti di censura o rimozione pur mantenendosi nei ranghi delle “carte” in mano ad avvocati e magistrati. «Nel caso di alcune testimonianze ho fatto la scelta di non aggiungere niente. Di riportare soltanto il “virgolettato” esatto pur non avendo mai registrato le testimonianze e lavorando soltanto sui miei appunti». Concedendo solo ai rapporti personali che ha saputo creare nel corso delle udienze di entrare, attraverso la propria empatia, nell’intimo di persone che hanno visto morire sotto i propri occhi un fidanzato o una moglie o hanno appreso dalle notizie in tempo reale che dava la televisione di aver perso un figlio o una figlia. Quello di Carrere è un viaggio in quello che molti hanno definito il «male assoluto» ma è allo stesso tempo una ricerca introspettiva nel «mistero del bene» di chi ha voluto conoscere e capire, attraverso il processo, cosa stesse sconvolgendo l’Europa in quella stagione maledetta di stragismo ordinata dal Daesh. «Non possiamo dire che gli imputati rappresentassero, in qualche modo, il “male assoluto”. Non erano certo killer di professione, anzi, si può dire fossero figure di secondo piano. E devo dire che si fa un gran parlare del “mistero del male” a riguardo. E con un certo compiacimento. Qui non c’è tanto mistero, stiamo parlando di fanatismo e qualsiasi genere del fanatismo è una cosa che sappiamo c’è un grande mistero è una cosa che possa provocare una qualche vertigine. Semplicemente è stupido. Anche per le vittime non possiamo dire che siano tutte l’incarnazione del “bene assoluto” o fossero, in qualche modo, dei santi. Ma attraverso le loro testimonianze abbiamo assistito a dimostrazioni di coraggio, altruismo e generosità davvero molto impressionanti. Ed è qui che per me c’è stata la vertigine. Non in quelle piccole figure di un male, tutto sommato, solo stupido e banale». La differenza tra lo scrittore e il cronista giudiziario, Carrere, la fissa proprio nell’interpretazione della vertigine. «In generale, quando ci si occupa di giustizia nell’ambito penale, ci si interessa di più agli imputati che delle vittime. In questo caso è stato il contrario per loro e anche per me».
La necessità di sapere, anche della Russia di Putin
Tentare di capire, dunque, dalla prospettiva dello scrittore e spiegare da quella dell’umanista. Un esercizio culturale che, l’allora primo ministro Manuel Valls chiosò con l’assunto per cui «spiegare è già voler giustificare». Tesi che Carrère riesce a ribaltare, concretamente nelle 267 pagine di “V13”. Tesi e antitesi che, però, potrebbero valere sempre, anche per la stretta attualità. E quella che preme riguarda la Russia. Per cui, l’occasione di avere accanto l’autore di “Limonov”, libro attraverso cui Carrere si è fatto conoscere al grande pubblico in Italia e dedicato al dissidente russo «prima comunista, poi nazionalista e, in fine, imperialista», scomparso a cavallo tra la prima e la seconda invasione dell’Ucraina da parte di Putin, permette di spostare il fuoco su un “fronte orientale” più caldo che mai proprio sul dibattito in corso riguardo il tentativo di capire, se non le ragioni, ciò che si pensa in Russia.
«Voler capire è come scusare? Una cazzata filosofica»
«Questa frase “capire è già come voler scusare” è una cazzata dal punto filosofico, ma è anche un controsenso giuridico, nel caso del processo sugli attentati il cui obiettivo è proprio quello di permettere di capire le ragioni degli imputati. E se si interrogano così a lungo è proprio per comprendere anche il motivo per cui sono a processo. Per questo è stato così lungo ed è stato condotto in modo così rigoroso e credo che sia stato anche fatto bene. Ora, non vedo perché questo desiderio di capire non si debba applicare anche a quello che sta facendo la Russia in Ucraina. O su come il potere in Russia si stia comportando con la sua popolazione. Tentare di capire è anche quello che fate voi giornalisti e non significa assolutamente “scusare” A me interessa capire le ragioni di Putin e questo non significa provare simpatia nei suoi confronti. Mi interessa sapere le sue esattamente come ci sono interessati alle ragioni del comandante di Treblinka».
«Per i russi la democrazia è nociva»
«La Russia si sta trasformando in un universo parallelo, almeno, per una grandissima parte della sua popolazione. Un mondo in cui non usiamo le parole allo stesso modo. E questo a causa della propaganda per cui la Russia sta vivendo la percezione della guerra in un modo completamente diverso dal nostro» spiega Carrère. Una visione parziale che non rende il quadro completo della visione da entrambe le prospettive la si osservi. Per cui viene tirata in ballo la figura di Vladislav Surkov, lo “spin doctor” di Vladimir Putin che ha elaborato il concetto di “democrazia sovrana” applicato in Russia. «La “democrazia sovrana” sta alla sedia elettrica come la democrazia sta alla sedia» commenta Carrere, citando il romanzo “Il mago del Cremlino” di Giuliano da Empoli che «ha avuto più successo e continua ad averne più in Francia che in Italia e questo, non solo per la qualità del libro, è il sintomo del fatto che ci sia un effettivo desiderio di sapere cosa accade in Russia e della gestione del potere da parte di Vladimir Putin». E aggiunge. «C'è da dire che i russi non hanno mai conosciuto la democrazia, se non per pochi anni con Eltsin e, quindi, viene associata a quella fase storica di caos, povertà e criminalità, percepita come una cosa negativa pericolosa, nociva. Noi ci vediamo come i rappresentanti della democrazia e per noi è il bene ma i russi non la vedono assolutamente così, ma al contrario. Per loro la democrazia è una cosa da cui bisogna proteggersi».
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