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LA SENTENZA
07 Giugno 2023 - 19:46
Il vecchio stabilimento dell'Eternit a Casale Monferrato
Dodici anni di reclusione e una provvisionale per danni da 50 milioni di euro alla città di Casale Monferrato, oltre a 30 milioni di euro a titolo di risarcimento allo Stato e 500mila euro all'Associazione familiari vittime dell'amianto. Questa la sentenza pronunciata dai giudici della Corte d'Assise per Stephan Schmidheiny, il magnate svizzero accusato della morte di 392 persone, tra operai dell’Eternit e cittadini di Casale Monferrato. L’imprenditore 73enne è stato l’ultimo proprietario dello stabilimento tra il 1976 e il 1986 ed era accusato di omicidio volontario, con dolo eventuale. Un reato che è stato derubricato nonostante la richiesta di una condanna all'ergastolo con isolamento diurno da parte dell'accusa, per cui nell'arringa finale il pubblico ministero Gianfranco Colace aveva sostenuto come «Schmidheiny sapesse che l’amianto uccide e invece ha continuato nella sua condotta». Una visione totalmente ribaltata dai difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, secondo cui «Stephan Schmidheiny nel 1976 in tema di amianto sapeva quello che sapevano tutti».
Per il pubblico ministero Gianfranco Colace questa sentenza «significa che finalmente la strage di Casale Monferrato ha un responsabile, la Corte d’Assise ha sicuramente riqualificato il fatto, un omicidio colposo aggravato. Noi siamo soddisfatti del nostro lavoro». Molto complesso per i giudici riqualificare il fatto. «La questione è molto complessa, molto difficile: un fatto su cui già le Sezioni Unite della Cassazione si erano si erano pronunciate» chiosa Colace, senza sbilanciarsi su un possibile ricorso che, probabilmente, arriverà soltanto dopo la lettura delle motivazioni. Chi, invece, ha già deciso di impugnare la sentenza è la difesa. «Siamo molto soddisfatti che sia stato escluso il dolo e quindi il fatto che si parli di un omicidio colposo si tratta di colpa imprenditoriale e non può essere qualificato come un omicida intenzionale» ha evidenziato Astolfo Di Amato, uno dei legali di Stephan Schmidheiny. «Noi impugneremo perché contestiamo sia la colpa sia il nesso di causalità. Per quello che concerne le liquidazioni ci riserviamo di leggere le motivazioni e capire sono giunti a liquidazioni che ci sembrano spropositate. Rispetto a una richiesta di ergastolo mi sembra che la sentenza abbia riconosciuto che non si può parlare di dolo nel modo più assoluto che era l’argomento principale dell’accusa» ha aggiunto Guido Carlo Alleva. «Leggeremo le motivazioni e vedremo perché la corte poi ha deciso di assolvere su tutta una serie di posizioni, riteniamo che questo dipenda dagli accertamenti tecnici che abbiamo fatto nel corso del processo e che credo siano stati importanti. Faremo appello perché riteniamo che secondo la nostra prospettiva le questioni da risolvere siano ancora molteplici, certamente è una sentenza di condanna che non condividiamo, riteniamo che ci siano problematiche serie, tecniche e giuridiche, che intendiamo riproporre alla corte d’appello».
Soddisfazione a metà per i familiari delle vittime e gli avvocati di parte civile che, per l’intera mattinata, hanno atteso a Novara il pronunciamento di un verdetto che chiude un percorso di due anni e quarantadue udienze cominciate il 9 giugno 2021, dopo la condanna a diciotto anni pronunciata dalla Corte d’Assise di Torino nel 2013 e poi annullata da parte della Cassazione nel 2014. Il reato, infatti, venne estinto per prescrizione maturata anteriormente alla sentenza di primo grado. «Parziale soddisfazione» anche per il sindaco di Casale Monferrato, Federico Riboldi. «Parziale perché finalmente è riconosciuto come criminale, quindi, l'omicidio colposo mette la parola colpevole affianco al nome di Stephen Schmidheiny. Ma noi chiedevamo l'ergastolo per le migliaia di vittime della città».
«Siamo di fronte a una sentenza importante in questo livello di giudizio, perché viene riconosciuta la colpa con una pena importante a dodici anni» commenta il segretario generale della Cgil Piemonte, Giorgio Airaudo. «Restano vive nel processo molte delle parti lese che sono cadute per le scelte del proprietario della Eternit. Non si arriva all’omicidio volontario perché bisogna sottolineare che c’è una carenza, un baco nel sistema legislativo italiano che non riconosce questo tipo di giudizio, come successo per la Thyssen. La sentenza riconosce le parti sociali, i danni fatti al territorio, un indennizzo, ovviamente serve un esame più attento e bisognerà che la sentenza regga nei prossimi gradi di giudizio, ma intanto è un inizio di giustizia su una vicenda che da decenni chiede giustizia».
Per il segretario generale della Uil Piemonte, Gianni Cortese «la condanna inflitta a Stephan Schmidheiny dalla Corte d’Assise di Novara, chiude un processo durato oltre due anni e si aggiunge a quella di Napoli - tre anni e otto mesi in primo grado per le vittime di Rubiera - oltre che a quella di Torino - un anno e otto mesi in appello per i morti di Cavagnolo - mentre resta in attesa di sviluppi il fascicolo aperto a Reggio Emilia». Condanne a cui si aggiunge quest'ultima. «Anche oggi siamo vicini ai parenti delle vittime, che ad ogni tornata giudiziaria vedono riacutizzarsi il dolore causato dall’avidità e dalla mancanza di scrupoli di persone che, pur di fare profitti, non si sono minimamente curati degli effetti sui singoli e sulle comunità».
«Finalmente il responsabile della strage silenziosa consumatasi per decenni a Casale Monferrato ha ufficialmente un nome e cognome» commentano Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, Giorgio Prino di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta e Vittorio Giordano del “Circolo Verdeblu” di Casale Monferrato. «La sentenza restituisce al territorio casalese, e all’Italia tutta, un rinnovato senso di giustizia dal quale ripartire con maggior serenità per completare il percorso di bonifica e cura di un territorio che ancora sta facendo i conti con gli effetti nefasti dell’inquinamento da amianto e dove ogni anno ancora si ammalano oltre 50 persone».
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