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Sindrome dell’impostore: quando il talento non basta a sentirsi all’altezza

Einstein, Meryl Streep e molti altri hanno temuto di non meritare il loro successo. Ecco da dove nasce questa paura e come liberarsene davvero

Sindrome dell’impostore: quando il talento non basta a sentirsi all’altezza

Immagine di repertorio

Ci sono persone che, nonostante i successi raggiunti, vivono con la sensazione di non meritarli. Ogni riconoscimento sembra frutto del caso, ogni complimento un’esagerazione. Il timore è quello di essere scoperti da un momento all’altro, come se il talento e l’impegno non bastassero davvero. Questo fenomeno ha un nome: sindrome dell’impostore.

A parlarne per la prima volta, alla fine degli anni ’70, furono le psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes. Da allora, numerosi studi hanno dimostrato che questa condizione è molto più diffusa di quanto si pensi. Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Behavioral Science, quasi il 70% delle persone ha sperimentato almeno una volta questa sensazione. E non riguarda solo chi è alle prime armi: anche figure di spicco, con anni di esperienza alle spalle, ne sono state colpite.

L’ex CEO di Starbucks, Howard Schultz, ha ammesso di essersi spesso chiesto se fosse davvero la persona giusta per guidare l’azienda. L’attrice pluripremiata Meryl Streep ha confessato di temere, a ogni nuovo film, di non essere all’altezza. Anche il fisico Albert Einstein, nonostante le sue scoperte rivoluzionarie, parlava di sé come di un "impostore involontario". Questi casi dimostrano come il problema non sia la mancanza di capacità, ma il modo in cui si percepiscono i successi.

Chi soffre della sindrome dell’impostore tende a svalutare i propri risultati. Ogni traguardo viene attribuito alla fortuna, all’aiuto di qualcuno o a un errore di valutazione altrui. Alla base di questa insicurezza ci sono spesso il perfezionismo e una bassa autostima.

Il perfezionismo porta a credere che solo il massimo risultato sia accettabile. Ogni piccolo errore diventa la prova di non essere abbastanza bravi. La bassa autostima, invece, spinge a pensare che gli altri siano più competenti e che i propri meriti non siano reali. Questo crea un circolo vizioso: più si ottengono risultati, più cresce la paura di essere smascherati.

Il fenomeno è particolarmente evidente in ambienti competitivi. Uno studio condotto dal International Journal of Behavioral Science ha mostrato come la sindrome dell’impostore sia diffusa tra ricercatori, medici, manager e creativi. In questi contesti, le aspettative sono altissime e il confronto con gli altri amplifica l’insicurezza. Dare il giusto valore ai propri successi è fondamentale. Non tutto è fortuna o caso: i traguardi raggiunti sono il risultato di impegno e competenze. Secondo la dottoressa Valerie Young, autrice del libro The Secret Thoughts of Successful Women, chi soffre di questa sindrome dovrebbe abituarsi a registrare i propri successi, per avere una prova concreta dei progressi fatti.

Anche il modo di pensare gioca un ruolo chiave. Molti di coloro che si sentono "impostori" hanno un dialogo interiore negativo, in cui si ripetono di non essere abbastanza bravi. La terapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato di essere efficace nel modificare questi schemi mentali, aiutando le persone a sviluppare una visione più realistica delle proprie capacità.

Anche se la sindrome dell’impostore non è una malattia, può avere conseguenze concrete sulla qualità della vita. Il successo non è un inganno, ma il risultato di un percorso. E merita di essere vissuto con fiducia.

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